Sui sentieri del Grande Male

Edizioni Progetto Cultura
nota di Antonio Raffaele

La silloge di Davide Toffoli Oltre le spoglie distese… Sui sentieri del Grande Male (Edizioni Progetto Cultura, nota di Antonio Raffaele) elegge a nucleo tematico il genocidio armeno1 avvenuto tra il 1915 e il 1917, nell’ambito della Prima guerra mondiale.
Metz Yeghern, il Grande Male, è il termine emotivo e memoriale con cui gli Armeni ricordano questa tragedia, nelle commemorazioni o nella letteratura, e in tutte le forme di espressione artistica, rivendicando dolorosamente la propria identità culturale e religiosa.
Toffoli affida al lettore una lunga narrazione lirica che fonde annotazione storica, esperienza interiore e immaginario simbolico, il cui tema portante è il dramma dell’esodo forzato di un popolo in fuga, in cui i protagonisti – figure corali, spesso indistinte – camminano attraverso paesaggi devastati, deserti e borghi in rovina; in questo scenario s’inscrive il motivo dell’oblio e della perdita, per una stirpe cui non è dato prendere dimora in alcuna terra promessa, che non sia la fragile e dolorosa dimensione del ricordo.
Se il sopruso, canone identitario dell’atrocità di ogni guerra, è il basso continuo del canto, un altro elemento affiora dal tessuto lirico, come materia viva e trepidante, che reclama ascolto: l’amore come insistenza nella cura e ripristino della luce del corpo: ove la carne, pur oggetto di strazio, rimane nel voto di tenacia, e nella pulsione originaria custodisce la propria sacralità e innocenza.
Toni e sentori biblici riaccendono echi dall’Esodo, dai Salmi, dall’Apocalisse, nonché dalla Leggenda dantesca di Eghishe Çharents, opera apertamente citata e prosodicamente evocata mediante la matrice ritmica del dettato, a dominante endecasillabica, ma rimodulata in una struttura senza scansioni strofiche fisse, come ben rileva Raffaele in nota. L’impianto metrico basale è continuamente spezzato da enjambements e fratture sintattiche che ne incrinano la rigidità formale, mentre il lessico è aspro, intriso di termini concreti e sensoriali – “sabbia”, “pietre”, “fango” “sudore” – accostati a lampi lirici – “sconvolte lacrime”, “tenerezza ferita”, “crepe esanimi” – che generano vibranti contrasti, secondo quell’antitesi programmatica che sembra strutturare l’intera raccolta. La versificazione predilige accumuli paratattici, creando un ritmo convulso che restituisce l’urgenza del canto comune, quasi una riflessione sulla persistenza linguistica: le immagini, pur intrise di devastazione, sono percorse da un’energia germinale che sottrae alla tenebra estrema: il buio, che nel simbolismo più consueto coincide con il baratro e la perdita, diviene qui campo di rinascita, spazio di rinnovata forza primaria.
Analogamente, nell’insistenza della formula “ancora respiriamo, siamo vivi”, l’atto respiratorio — evento biologico elementare — viene posto a emblema della tenuta dell’essere, contro le disgregazioni inflitte dalla storia. La parola è corpo verbale di testimonianza, restituzione, non mera cronaca di disfacimento. Tale lavoro propriamente poetico di Toffoli s’avvale di una musicalità anaforica ed epanalettica, dove la reiterazione evoca il cenno mnemonico e rituale, e le metafore primordiali, fondative traslano l’esperienza storica a visione cosmica, in un concerto di accorgimenti sinestesici: “Rari sapori e riflessi di lago./  Respiro d’alberi, caldo e rotondo”, che ridanno al lettore sensorialità totale.
Il gesto artistico di Davide Toffoli, nel salmodiare nitido e commosso, è il resoconto, tristemente attuale, di un sentire unanime: che un presente opaco a sé stesso reitera le derive tragiche in cui, già molte volte, l’uomo è incorso. Nel viaggio allucinato tra macerie, memorie e resistenze, Toffoli piange l’accaduto distendendone la lunga ombra su ciò che, nel nostro tempo, tali drammi rievoca e ripete.

Fotografia di Armin Theophil Wegner, Famiglie armene in un campo profughi, 1915


da: Oltre le spoglie distese… Sui sentieri del Grande Male

Non ero il giardiniere, solo un fiore
tra le nere radici senza approdo.
Un gelido fiato di questa terra
appesa tra solitudine e attesa.

Partimmo di notte e non ci fu tempo
per vedere l’ultimo domicilio
conosciuto, per capire il battito
di un cuore perenne e caldo in affitto.
Per scoprire il sapore di quest’acqua
rara e centellinata con solenne
cura. Radente nell’eco disfatta
il nostro fu un commiato silenzioso
fatto di luna, di lampi, di stelle.
Solo l’effetto di una potatura
nata dal taglio, una cima mozzata
e un risorgere nudo verso il cielo.

Già le stelle ci sembravano fisse…

In questo spoglio deserto di anime
non esistevano strade ma tracce
appena evidenti di antiche fughe.

Questo vedemmo sul viso e le poche
rughe ruffiane chiamate a parlarci
guastavano tutte le nostre cacce
e poi il buio mi discese sugli occhi,
e caddi in un torpore senza sogni.


Nel buio c’è morte, sangue, sudore.
Nel buio, sulla pelle, le ferite,
sconvolte lacrime, crepe esanimi.

Ma qua, nel buio, trovammo anche amore…
Stremati, con gli occhi aperti e affamati,
seminascosti da una grigia tenda
nel silenzio c’indossammo a vicenda.

*

Ancora respiriamo, siamo vivi
in un borgo distrutto, sottosopra

dove l’ingorgo di morte e rovina
ha già battuto i muscoli umidi
e le schiene stanche ben oltre la notte.

ancora respiriamo, siamo strani
sotto quest’aria di crolli e macerie.
Siamo appesi ad ogni minimo sasso
di questa strada strappata e scoscesa.

ancora respiriamo, siamo primi
passi di percorsi ormai disattesi
e le ultime fiamme brevi e scarlatte
sotto la canicola che ci brucia
la faccia e non ce ne lascia più traccia.

Le lingue non hanno lacci o confini:
non sono che il futuro della specie.
Esistono oltre il limite che resta
affare nostro o arginabile fuoco,
incrollabile vuoto tra le mani.

Non c’è dolore in queste mosse, non c’è
morte tra questi cadaveri vivi
rimasti a terra col cuore strappato…

Non c’è dolore oltre questo commiato,
non c’è più terra sotto i nostri piedi
che pestano un sentiero disastrato…

Non c’è dolore in questa assenza cruda
di scampo, in questo nudo disamore,
in questo lecito strappo del nulla.

Su questa regione brulla si abbatte
una tacita guerra che qui non fa
prigionieri. Sopravviviamo soli,
pietre d’angolo o resti senza vita,
su queste spoglie distese… Nitidi
fini oltre i limiti umani, respiri
frenetici e sincopati, superflui
come alberi alle porte del deserto.

Siamo nel sogno aperto alla memoria.
Siamo quattro o sei passi senza storia.
Siamo sassi acquattati sull’assenza
di ogni estate che resta, siamo fate
o streghe, siamo spauriti viandanti
con un chiodo fisso in testa. Siamo ore
dissipate e già perse. Siamo festa.

Capelli candidi come la neve.
Occhi di fuoco rossi e fiammeggianti.
Piedi dal colore di bronzo intenso.
Fragore di voce d’acque cadenti.
Una spada di sette stelle: luce
affilata e scintillante di sole.
Non appena lo vedemmo cademmo,
rassicurati ma come già morti,
dov’eravamo prima di partire…

Venga chi ha sete su questi sentieri.
Venga chi non crede a strade crudeli
crollate e colpite a sangue. Vengano,
come leggenda, appese a mille colori
armi ancora in me, miti sguardi esangui.

Venga, come racconto, anche da sola
col volto ultimo di chi ha passato
il fronte, con il sapore unico
di chi anticipa lo zero, la terra
che, vera, ci osserva come le pare.

Parola libera già di volare.

*

Davide Toffoli (Roma, 1973) laureato in Lettere, lavora come docente presso l’IIS Einstein-Bachelet. Allievo di Biancamaria Frabotta, ha portato una tesi di laurea sulla poesia di David Maria Turoldo, dalla quale nasce il volume Il caso Turoldo. Liturgia e poesia di un uomo (Ladolfi 2021, prefazione di Biancamaria Frabotta). Sostenitore convinto di ogni forma di creatività resistente, è ideatore del progetto di integrazione scolastica La scuola a casa di Riky. Opera per la diffusione della poesia e del dialogo, nella periferia romana, con percorsi di ricerca e lettura attiva e la realizzazione del suggestivo Luogo da Favola. È nella redazione di «Avamposto – Rivista di Poesia», dove cura la sezione recensioni. Fa parte della Costellazione dei PoetiPost68 per la quale si è occupato della Parola-Chiave Scuola.
In poesia ha pubblicato: Invisibili come sassi (Libreria Editrice Urso 2014), Ogni foto che resta. Camminatori e camminamenti (Libreria Editrice Urso 2015) e L’infinito ronzio (Controluna 2018). Figura tra gli autori dei volumi: Il libro degli allievi. Per Biancamaria Frabotta (Bulzoni 2016) e Passaggio a mezzogiorno (Isola 2018).


  1. N.d.R.: Il genocidio armeno è avvenuto tra il 1915 e il 1917, durante la Grande Guerra, all’interno dell’Impero Ottomano, attuale Turchia. Il governo dei Giovani Turchi, timoroso che la minoranza armena potesse sostenere la Russia nemica, la dichiarò potenziale “minaccia interna”, e decise di eliminarla come entità nazionale. A fronte del motivo dichiarato, il progetto era l’omogeneizzazione identitaria e la costruzione di uno Stato nazionale turco.  Sotto la pretestuosa motivazione della sicurezza interna, l’Impero Ottomano avviò una sistematica epurazione etnica, sfociata poi nel genocidio del popolo armeno mediante deportazioni di massa, marce forzate nel deserto siriano, esecuzioni, stupri e carestie indotte. Si stima che morirono tra un milione e un milione e mezzo di persone. Fu uno dei primi genocidi sistematici del Novecento: pianificato e rivestito di retorica patriottica, per legittimare lo sterminio.
    Dopo la guerra, l’Impero Ottomano crollò, ma la nuova Repubblica turca negò, e continua in gran parte a negare che si trattò di genocidio, definendolo piuttosto una “tragedia reciproca di guerra”.
    L’attenzione internazionale, inizialmente forte – anche grazie a missionari e giornalisti –,  si spense presto, oscurata dalle distruzioni della guerra e poi dal nazismo. Solo più tardi — dalla seconda metà del Novecento in poi — si è imposto il riconoscimento ufficiale dell’accaduto da parte di molti Stati, fra cui Italia, Francia, Germania, Parlamento Europeo.
    Le conseguenze furono enormi: la diaspora armena si sparse in tutto il mondo, mentre la memoria del genocidio divenne un pilastro dell’identità armena moderna.
    Tuttavia, dopo un’iniziale, vigorosa reazione internazionale di indignazione, questa tragedia è rimasta avvolta nel silenzio, schermata anche dalla ostinata negazione da parte della Turchia. La frattura diplomatica tra Armenia e Turchia si protrae tuttora. ↩︎