Puvis de Chavannes, Hope, 1872



La fede che preferisco, dice Dio, è la speranza.

La fede non mi stupisce.
Non è stupefacente.
Risplendo talmente nella mia creazione.
Nel sole e nella luna e nelle stelle.
In tutte le mie creature.
Negli astri del firmamento e nei pesci del mare.
Nell’universo delle mie creature.
Sulla faccia della terra e sulla faccia delle acque.
Nel movimento degli astri che sono nel cielo.
Nel vento che soffia sul mare e nel vento che soffia sulla vallata.
Nella vallata calma.
Nella vallata quieta.
Nelle piante e nelle bestie e nelle bestie delle foreste.
E nell’uomo.
Creatura mia.
Nei popoli e negli uomini e nei re e nei popoli.
Nell’uomo e nella donna sua compagna.
E soprattutto nei bambini.
Creature mie.
Nello sguardo e nella voce dei bambini.
Perché i bambini sono più mie creature.
Che gli uomini.
Non sono ancora stati disfatti dalla vita.
Della terra.
E tra tutti sono miei servitori.
Prima di tutti.
E la voce dei bambini è più pura della voce del vento nella calma della
vallata.
Nella vallata quieta.
E lo sguardo dei bambini è più puro del blu del cielo, del bianco latte del
cielo, e di un raggio di stella nella notte calma.

Ferdinand Waldmüller, Children

Ora io risplendo talmente nella mia creazione.
Sulla faccia delle montagne e sulla faccia della pianura.
Nel pane e nel vino e nell’uomo che ara e nell’uomo che semina e nella
messe e nella vendemmia.
Nella luce e nelle tenebre.
E nel cuore dell’uomo, che è ciò che c’è di più profondo nel mondo.
Creato.
Così profondo che è impenetrabile a tutti gli sguardi.
Eccetto che al mio sguardo.
Nella tempesta che fa balzare le onde e nella tempesta che fa balzare le
foglie.
Degli alberi della foresta.
E al contrario nella calma di una bella sera.
Nelle sabbie del mare e nelle stelle che sono una sabbia nel cielo.
Nella pietra della soglia e nella pietra del focolare e nella pietra dell’altare.
Nella preghiera e nei sacramenti.
Nelle case degli uomini e nella chiesa che è la mia casa sulla terra.
Nell’aquila creatura mia che vola sulle vette.
L’aquila reale che ha almeno due metri di apertura d’ali e forse tre metri.
E nella formica creatura mia che striscia e ammassa modestamente.
Nella terra.
Nella formica mia serva
E fino nel serpente.
Nella formica mia serva, mia infima serva, che ammassa con pena, la
parsimoniosa.
Che lavora come una disgraziata e che non ha pause né riposo.
Che la morte e che il lungo sonno invernale
(Alzando le spalle per tanta evidenza. Davanti a tanta evidenza.)
Io risplendo talmente in tutta la mia creazione.
Nell’infima, nella mia creatura infima, nella mia serva infima, nella
formica infima.
Che tesaurizza modestamente, come l’uomo.
Come l’uomo infimo.
E che scava delle gallerie nella terra.
Nel sottosuolo della terra.
Per ammassare meschinamente dei tesori.
Temporali.
Poveramente.

Paul klee, Destruction and hope


E fino nel serpente.
Che ha ingannato la donna e per questo striscia sul ventre.
E che è creatura mia e che è mio servo.
Il serpente che ha ingannato la donna.
Mia serva.
Che ha ingannato l’uomo mio servo.
Io risplendo talmente nella mia creazione.
In tutto quello che accade agli uomini e ai popoli, e ai poveri.
E anche ai ricchi.
Che non vogliono essere mie creature.
E che si mettono al riparo.
Di essere miei servi.
In tutto quello che l’uomo fa e disfa di male e di bene.
(E io ci passo sopra, perché sono il padrone e faccio quello che lui ha
disfatto e disfo quello che lui ha fatto.)
E fino nella tentazione del peccato.
Stesso.
E in quello che è accaduto a mio figlio.
A causa dell’uomo.
Creatura mia.
Che io avevo creato.
Nell’incorporazione, nella rinascita e nella vita e nella morte di mio figlio.

E nel santo sacrificio della messa.

In ogni nascita e in ogni vita.
E in ogni morte.
E nella vita eterna che non finirà mai.
Che vincerà ogni morte.

Claudio Parmiggiani, Croce di luce, 2003


Io risplendo talmente nella mia creazione.
Che per non vedermi veramente occorrerebbe che quella povera gente
fosse cieca.

La carità, dice Dio, non mi stupisce.
Non è stupefacente.
Quelle povere creature sono così disgraziate che a meno d’avere un cuore
di pietra, come farebbero a non avere carità le une delle altre.
Come non avrebbero carità dei loro fratelli.
Come non si toglierebbero il pane di bocca, il pane quotidiano, per darlo a
dei bambini disgraziati che passano.
E mio figlio ha avuto per loro una tale carità.

Mio figlio loro fratello.
Una carità così grande.

Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce.
Me stesso.
È stupefacente.

Claudio Parmiggiani, Rinascere dal dolore


Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e credano che domani
andrà meglio.
Che vedano come va oggi e che credano che andrà meglio domattina.
Questo è stupefacente ed è davvero la più grande meraviglia della nostra
grazia.
E ne sono stupito io stesso.
Ed occorre che la mia grazia sia in effetti di una forza incredibile.
E che sgorghi da una fonte e come un fiume inestinguibile.
Dalla prima volta che sgorgò e da sempre che sgorga.
Nella mia creazione naturale e sovrannaturale.
Nella mia creazione spirituale e carnale e ancora spirituale.
Nella mia creazione eterna e temporale e ancora eterna.
Mortale e immortale.
E quella volta, oh quella volta, da quella volta che sgorgò, come un fiume
di sangue, dal fianco ferito di mio figlio.
Quale bisogna che sia la mia grazia e la forza della mia grazia perché quella
piccola speranza, vacillante al soffio del peccato, tremante a tutti i venti,
ansiosa al minimo soffio, sia così invariabile, resti così fedele, così dritta,
così pura; e così invincibile, e immortale, e impossibile da spegnere; che
quella piccola fiamma del santuario; che quella piccola fiamma del
santuario.

Claudio Parmiggiani, Senza titolo, 1995


Che brucia eternamente nella lampada fedele.
Una fiamma tremante attraverso lo spessore dei mondi.
Una fiamma vacillante attraverso lo spessore dei tempi.
Una fiamma ansiosa attraverso lo spessore delle notti.
Da quella prima volta che la mia grazia ha sgorgato per la creazione del
mondo.
Da sempre da che la mia grazia sgorga per la conservazione del mondo.
Da quella volta che il sangue di mio figlio è sgorgato per la salvezza del
mondo.

Una fiamma impossibile da raggiungere, impossibile da spegnere al soffio
della morte.

Quello che mi stupisce, dice Dio, è la speranza.
E non me ne capacito.
Quella piccola speranza che non sembra niente.
Quella piccola bambina speranza.
Immortale.

George Frederic Watts, Speranza, 1886, Tate Gallery, London


Perché le mie tre virtù, dice Dio.
Le tre virtù mie creature.
Mie figlie mie bambine.
Sono esse stesse come le mie altre creature.
Della razza degli uomini.
La Fede è una Sposa fedele.
La Carità è una Madre.
Una madre ardente, piena di cuore.
O una sorella maggiore che è come una madre.
La Speranza è una piccola figlia da nulla.
Che è venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso.
Che gioca ancora con babbo Gennaio.
Con i suoi piccoli abeti di legno di Germania coperti di brina dipinta.
E col suo bove e il suo asino di legno di Germania.
Dipinti.
E con la mangiatoia piena di paglia che le bestie non mangiano.
Perché sono di legno.
[Eppure è quella piccola bambina che traverserà i mondi.
Quella piccola bambina da niente]
Lei sola, portando le altre, che traverserà i mondi compiuti.

Raffaello, Pala Baglioni, Speranza, 1507


Come la stella ha condotto i tre re fin dal fondo dell’Oriente.
Verso la culla di mio figlio.
Così una fiamma tremante.
Lei sola condurrà le Virtù e i Mondi.

Una fiamma penetrerà le tenebre eterne.

Il prete dice.
Il ministro di Dio il prete dice:

– Quali sono le tre virtù teologali?

Il bambino risponde:

– Le tre virtù teologali sono la Fede, la Speranza e la Carità.

– Perché la Fede, la Speranza e la Carità sono chiamate virtù teologali?

– La Fede, la Speranza e la Carità sono chiamate virtù teologali perché si
rapportano immediatamente a Dio.

– Che cos’è la Speranza?

– La Speranza è una virtù sovrannaturale per cui noi attendiamo da Dio,
con fiducia, la sua grazia in questo mondo e la gloria eterna nell’altro.

– Fate un atto di Speranza.

– Mio Dio, io spero con ferma fiducia che mi darete, per i meriti di Gesù
Cristo, la vostra grazia in questo mondo, e, se osservo i vostri
comandamenti, la vostra gloria nell’altro, perché me l’avete promesso, e
perché siete sovranamente fedele alle vostre promesse.

Si dimentica troppo, bimba mia, che la speranza è una virtù, che è una
virtù teologale, e che di tutte le virtù, e delle tre virtù teologali, è forse la
più gradita a Dio.
Che è sicuramente la più difficile, che è forse la sola difficile, e che senza
dubbio è la più gradita a Dio.

Friedrich von Amerling, Portrait of Princess Marie Franziska von Lichtenstein, 1836


La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere non c’è che lasciarsi
andare, non c’è che guardare. Per non credere bisognerebbe farsi violenza,
torturarsi, tormentarsi, contrariarsi.
Prendersi a rovescio, mettersi al contrario, riprendersi. La fede è tutta
naturale, tutta alla buona, tutta semplice. Tutta semplice. E va e viene del
bello e alla buona. È una buona donna che si conosce, una vecchia e buona
parrocchiana, una buona donna della parrocchia, una vecchia nonna, una
buona parrocchiana. Ci racconta le storie del tempo antico, che sono
accadute nel tempo antico.

Per non credere, bambina mia, occorrerebbe tapparsi gli occhi e le
orecchie. Per non vedere, per non credere.

La carità disgraziatamente va da sola. La carità cammina da sola. Per
amare il proprio prossimo non c’è che lasciarsi andare, non c’è che
guardare una simile desolazione. Per non amare il prossimo occorrerebbe
violentarsi, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male.
Snaturarsi, prendersi all’inverso. Rimontarsi. La carità è tutta naturale,
tutta zampillante, tutta semplice, tutta alla buona. È il primo movimento
del cuore. È il primo movimento che è quello buono. La carità è una madre
e una sorella.

Per non amare il prossimo, bambina mia, occorrerebbe chiudersi gli occhi
e le orecchie.
A tante grida di desolazione.

Ma la speranza non va da sola. La speranza non va da sola. Per sperare,
bambina mia, occorre essere molto felici, occorre aver ottenuto, ricevuto
una grande grazia.

È la fede che è facile e non credere che sarebbe impossibile. È la carità che è
facile e non amare che sarebbe impossibile. Ma è sperare che è difficile.

(A voce bassa e con vergogna)

E la cosa facile e la tendenza è disperare, ed è la grande tentazione.

Jago, In Flagella Paratus Sum, ponte di Castel Sant’Angelo, 7 agosto 2022


La piccola speranza s’avanza tra le sue due grandi sorelle e non la si guarda
neanche.
Sul cammino della salvezza, sul cammino carnale, sul cammino
accidentato della salvezza, sul cammino interminabile, sul cammino tra le
sue due sorelle la piccola speranza
Avanza.
Tra le sue due sorelle grandi.
Quella che è sposata.
E quella che è madre.
E non ci si fa attenzione, il popolo cristiano fa attenzione che alle due
sorelle grandi.
La prima e l’ultima.
Che vanno più presto.
Al momento.
Nell istante momentaneo che passa.
Il popolo cristiano non vede che le due sorelle grandi, non guarda che le
due sorelle grandi.
Quella che sta a destra e quella che sta a sinistra.
E non vedono quasi che quella che sta nel mezzo.
La piccola, quella che va ancora a scuola.
E che cammina.
Persa tra le gonne delle sue sorelle.
E volentieri crede che siano le due grandi a tirare la piccola per mano.
In mezzo.
Fra le due.
Per farle fare il cammino accidentato della salvezza.
I ciechi non vedono il contrario.
Che è quella che è in mezzo che tira le sue sorelle grandi.
E che senza di lei non sarebbero niente.
Che due donne già grandi.
Due donne di una certa età.
Sciupate dalla vita.

È lei, quella piccola che tira tutte.
Perché la Fede non vede che ciò che è.
E lei vede ciò che sarà.
La Carità non ama che ciò che è.
E lei ama ciò che sarà.

La Fede vede ciò che è.
Nel Tempo e nell’Eternità.
La Speranza vede ciò che sarà.
Nel tempo e nell’eternità.

Per dir così il futuro dell’eternità stessa.

Gustav Klimt, Speranza II, 1908


La carità ama ciò che è.
Nel tempo e nell’Eternità.
Dio e il prossimo.
Come la Fede vede.
Dio e la creazione.
Ma la Speranza ama ciò che sarà.
Nel tempo e per l’eternità.

Per dir così nel futuro dell’eternità.

La Speranza vede ciò che ancora non è e che sarà.
Lei ama ciò che non è ancora e che sarà.

Nel futuro del tempo e dell’eternità.