William Turner, La valorosa Téméraire, 1838-1839, National Gallery, Londra

Traduzione e nota di Flavio Ferraro


Versi scritti nel Golfo di Lerici

Lei mi lasciò nell’ora silenziosa
quando la luna smette di ascendere
l’azzurro sentiero del cielo scosceso,
e come un albatro addormentato,
in equilibrio sulle sue ali di luce,
ondeggiava nella notte purpurea
prima di cercare il suo nido d’oceano
nelle dimore dell’ovest.
Lei mi lasciò, ed io rimasi solo
a pensare ad ogni melodia
che, sebbene silenziosa all’orecchio,
il cuore incantato poteva udire,
come note che muoiono appena nate,
ma ancora dimorano negli echi della collina;
e ancora sentivo – oh troppo forte! –
il tenero vibrare del suo tocco,
come se la sua mano delicata, anche ora,
lievemente tremasse sulla mia fronte;
e così, benché fosse assente,
la memoria di lei tutto mi donava
quanto nemmeno la fantasia osa pretendere;
debole e docile la sua presenza aveva reso
ogni passione, ed io rimasi solo
nel tempo ch’era il nostro;
dimenticati erano passato e futuro,
come mai fossero stati, né dovessero essere.
Ma subito, scomparso l’angelo guardiano,
il demone riprese il suo trono
nel mio fragile cuore. Io non oso esprimere
i miei pensieri, ma così turbato e debole
mi sedetti e vidi le navi scivolare
sull’oceano vasto e splendente,
simili a carri dalle ali di spirito, inviati
sul più sereno elemento
per arcani e lontani sacerdozi;
come se navigassero verso qualche
elisia stella, in cerca di una pozione
per un dolore amaro e dolce come il mio.
E il vento che ali donava al loro volo
fresco e lieve giungeva dalla terra,
e il profumo dei fiori alati,
e la freschezza delle ore
di rugiada, e il dolce tepore lasciato dal giorno,
si spandevano sul golfo scintillante.
E il pescatore con la sua lanterna
e l’arpione strisciava tra gli scogli
umidi e bassi, e trafiggeva i pesci
giunti a venerare l’ingannevole fiamma.
Troppo felici, quelli il cui appagato piacere
estingue ogni senso e il pensiero
del rimorso che il piacere lascia,
distruggendo solo la vita, non la pace!

Percy Bysshe Shelley, postumo di Alfred Clint, dal dipinto di Amelia Curran (1819). Londra, National Portrait Gallery



Lines written in the Bay of Lerici

She left me at the silent time
When the moon had ceas’d to climb
The azure path of Heaven’s steep,
And like an albatross asleep,
Balanc’d on her wings of light,
Hover’d in the purple night,
Ere she sought her ocean nest
In the chambers of the West.
She left me, and I stay’d alone
Thinking over every tone
Which, though silent to the ear,
The enchanted heart could hear,
Like notes which die when born, but still
Haunt the echoes of the hill;
And feeling ever—oh, too much!—
The soft vibration of her touch,
As if her gentle hand, even now,
Lightly trembled on my brow;
And thus, although she absent were,
Memory gave me all of her
That even Fancy dares to claim:
Her presence had made weak and tame
All passions, and I lived alone
In the time which is our own;
The past and future were forgot,
As they had been, and would be, not.
But soon, the guardian angel gone,
The daemon reassum’d his throne
In my faint heart. I dare not speak
My thoughts, but thus disturb’d and weak
I sat and saw the vessels glide
Over the ocean bright and wide,
Like spirit-winged chariots sent
O’er some serenest element
For ministrations strange and far,
As if to some Elysian star
Sailed for drink to medicine
Such sweet and bitter pain as mine.
And the wind that wing’d their flight
From the land came fresh and light,
And the scent of winged flowers,
And the coolness of the hours
Of dew, and sweet warmth left by day,
Were scatter’d o’er the twinkling bay.
And the fisher with his lamp
And spear about the low rocks damp
Crept, and struck the fish which came
To worship the delusive flame.
Too happy they, whose pleasure sought
Extinguishes all sense and thought
Of the regret that pleasure leaves,
Destroying life alone, not peace!

*

Shelley, il poeta degli incantesimi sonori, sovranamente aereo e immateriale. Il cacciatore dell’Infinito teso verso lontananze imprendibili, assorto in visioni che salgono vertiginose e sfumano in luce, dalla consistenza di sogni. La morte per naufragio fu l’ultimo atto di un’esistenza ardente, in affannosa ricerca della bellezza e della verità, da buon discepolo di Platone: lui che era nato per volare con ali perpetuamente spiegate, fu liberato dal sortilegio della finitezza e della molteplicità. “He is made one with Nature”, disse del suo amato Keats nell’elegia Adonais; di lì a poco una “sea-change” lo avrebbe eternato, e da allora “sono perle quelli che furono i suoi occhi”.


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Flavio Ferraro


Flavio Ferraro è nato a Roma nel 1984. Ha pubblicato: La malvagità del bene. Il progressismo e la parodia della Tradizione (Irfan, San Demetrio Corone 2019); la traduzione delle Odi di John Keats (Delta 3, Grottaminarda 2021); e il libro che raccoglie tutte le sue poesie, Il silenzio degli oracoli (L’Arcolaio, Forlimpopoli 2021).