Natale. È tempo di tornare
al grande pino sotto il cimitero,
la casa delle vacanze.
Dal suo balcone si spalancano
i campi luminosi
che tanto vi doleste
di dover lasciare.
Sui prati che cingono
i muri abbandonati
rivedo le corse a perdifiato
con le bande
della mia infanzia.
Vorrei lasciare un segno di rimando
di quelle estati interminabili,
scendendo i greppi
che mettono nell’uliveto
ascoltare il vento
modulare la nostalgia
di quelle voci bambine.
Posso sentirle gelare nel sangue,
attraversare il respiro,
penetranti dal buio
farsi luce.


Ottone Rosai, Il convento, 1955



Dicevi sempre:
i più severi
saranno i professori
che lasceranno
cicatrici nel cuore.
Me lo rimugino in cattedra,
malriposto adolescente,
il più vivace vorrebbe
mandarmi a fanculo,
un sobbalzo,
un tic sotto la mascherina…
Tra i banchi l’aria
cade a pezzi.

Il mestiere del professore

Vi osservo com’ero
alla vostra età,
uno stecco odoroso
di ragazzino.
Al vostro nugolo
infittendo il brusio
mi ha condotto
il cancello di ferro
alle mie spalle,
venti ragazzi vocianti
mezzo addormentati,
accampati sullo spiazzale,
tra zaini colorati,
cartelline e isolanti.
È il mio passo a tracciare
il cammino sulla scala
che ci porterà all’aula.
Non è passato
nemmeno tanto
da quando ridevo tra voi.
Ma quegli occhi
curvi sul pavimento
sussurrano “buongiorno”,
si perdono lontano,
frammenti di luce
che frugano,
avvistano all’orizzonte
la mia vita
che si va consumando.


Ottone Rosai, I fidanzati, 1934



Una resa

Non saprei che altro cedere
a quelle mani che si tendono
dallo spioncino dell’aula
che scompare, salutando…



Guardando “Les Choristes”

ai miei alunni

Nessuno violi
quei pezzetti di luce
annidati nello sguardo,
quella fetta di terra
salvata dai ragazzini.
Nessuno poteva concepire
un silenzio così perfetto.



Notte di febbraio

A quest’ora bombardano, a Kiev.
Nel silenzio dei sottopassaggi
ci si scambiano sigarette,
tè caldo, un po’ di fortuna,
accucciati, addossati
ai graffiti della metro.
Fuori son passate
sui ragazzi che sgattaiolavano
le fortezze volanti,
l’aria caduta a pezzi.
Siamo tutti sospesi, questa notte,
arresi al notiziario
della solita guerra
girata altrove.


Tavolata con donna, 1956




A Michele, mio fratello

Le prime vere storie
le ascoltai dalla tua voce
nella camera buia,
prima di addormentarci.
Fantasticavi di noi,
delle bande di campagna,
con le tue fughe
dal riposino il pomeriggio,
scavalcando la finestra
davanti a babbo,
assopito come
un Ciclope ubriaco.
C’ero anch’io nelle avventure,
scudiero obbediente,
scendevo dai rami
come il barone rampante
dell’edizione illustrata.
Che ne è stato
te lo chiedo oggi,
in questo tempo assediato,
insignificante,
tra le righe dell’ultimo
messaggio WhatsApp.
Non dimentico.
Nonni troppo coriacei, taciturni,
babbo ci leggeva i libri
o raccontava il mito
di Ulisse e Polifemo,
eravamo ancora piccoli.
Finché imparai a cercare luce
in quella voce
che non feriva il buio.


Ottone Rosai, Collina d’ulivi, 1922



*

Ezio Settembri (Macerata, 1981) ha studiato Lettere Moderne, laureandosi con una tesi su Ottone Rosai. Dal 2009 lavora come docente nella scuola secondaria. Ha pubblicato poesie e studi riguardo le arti figurative su varie riviste, tra cui “Il falco letterario”, “Infinito letterario”, “Poeti e Poesia”. Un suo poemetto è presente nell’antologia del Premio “Terra di Virgilio 2016”. Suoi brevi studi su poeti contemporanei sono apparsi sulla rivista “Menabò”. Dal 2019 fa parte della redazione della rivista online “Nuova Ciminiera”, sulla quale sono apparse delle brevi ricognizioni sulla poesia di Sereni, Benzoni, Pasolini, Scarabicchi, Davoli. Nel 2021 ha pubblicato Il mito ritrovato. La poesia di Umberto Piersanti (Industria & Letteratura 2021). Vive e insegna in provincia di Mantova.