Algra Editore 2023

collana “Ginestra dell’Etna” a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Di Mauro

prefazione di Antonio Di Mauro


Canto di commiato e insieme rinnovato incontro, ritmo di un ritorno e di un distacco che si elevano in volatili percezioni e incantevoli fedeltà, La leggenda della primavera (Algra Editore 2023, collana “Ginestra dell’Etna”, a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Di Mauro) raccoglie il primo atto di un gesto creativo trino, il ciclo poetico Il portavoce, composto da Massimo Morasso a cavallo del cambio di secolo (1995 – 2006), che include idealmente la presente Leggenda, insieme a Viatico e La caccia spirituale. Di queste tre sillogi, a loro volta tripartite, soltanto la prima non era stata finora unificata in singolo volume.
La leggenda della primavera è un florilegio di note e rifrazioni, un’elegia colma di sensitivi cromatismi che tanto somiglia all’atto fichtiano di porsi, conoscere dolorosamente l’altro da sé, e sollevarsi in unità per disciplina morale di adesione e assenso; opera in cui Morasso dimostra pienamente il suo essere poeta parco, eletto, che sa maneggiare il silenzio e le sue filigrane con nobilissimo garbo.
Rilkiano di lunga data e ampia devozione, il poeta è davvero ape dell’invisibile, creatura in pura relazione con l’esistente, di cui coglie le essenze più sottili nello splendore degli sfondi, nel linguaggio misterioso dei nitidi barbagli in cui le anime accese avvertono i sensi reconditi dell’esistenza.
Weltinnenraum, spazio interiore del mondo, dove ogni elemento è in presenza geniale, sincronica e condivisa con gli spazi interminati cui allude, realizzando in dialettica il teso e lucente arco della significanza.
Perché Morasso discerne nel garbuglio il filo segreto, nella polifonia del gioco d’echi la tonica, ferma e paterna, che attende la dominante; così il poeta osserva e, responsabilmente, nomina. Lasciando accadere ed essere la natura delle cose senza fletterle, senza ferirle. Il prodigio di un’orizzontalità multipla e materiale che nel portamento lirico dell’autore si posa casta, originaria, rifondandosi; e poi ascende, per intelligenza sensibile, in diafana verticalità, ritmicamente ripetuta.
“Andamento disteso, linearità, atmosfera di sospensione” che sono, secondo Antonio Di Mauro in prefazione, “proiezione e forma del pensiero”: una celeste e trascendente percezione del creato non sovrapposta, non imposta, ma dalla quale si è, nella poesia di Morasso, morbidamente convocati, per inclusione in un campo energetico di osservazione attenta, equanime nella gentilezza, segnata di stupore: il poeta rovescia l’idea di distacco in una partecipazione nel riserbo, intensa e sensualissima, cioè inarrivabilmente spirituale, a tutto il silenzioso e taciuto bene che capillarmente vascolarizza il creato di segrete limpidezze.

Isabella Bignozzi

Emil Nolde, Anna Wied’s Garden, 1907, particolare


*

da: La leggenda della primavera, Algra Editore 2023


Il corbezzolo, o arbutus unèdo, o albatro, il viaggiatore
non penserebbe di incontrarlo a queste latitudini.
Domina invece, a sud, l’estremità meno esposta
dell’isola. A volte, le grandi foglie lanceolate perse nel
bianco dei suoi fiori si aprono al vento come ali.

*

Giunto dall’altro lato della natura, l’appartato guardava
come di spalle indietro alla torbiera, ci posava accanto
una manciata di nomi, si allontanava.

*

La torre delle taccole
riposava chiusa in se stessa.
Nella luce sghemba del crepuscolo
a picco sui gradini senza corrimano
tra i bastioni non c’era chi udisse
nessuno rimaneva a nominare.

*

Duplice è la natura dell’ape
che tra un istante e l’altro può scartare
correre lungo fili invisibili
come deve da una rosa a un’altra rosa
ormai figura del lontano o quasi
sa nascondersi dentro bolle di luce
nell’azzurro dei cieli che bisbigliano.


Emil Nolde, Half moon over the sea, particolare


*

VII.

“A cosa si è disposti fratelli
pur di sopportare il ronzìo
che monta su da questi
nostri sempre più asettici inferni
nelle centomila arnie del nulla
ho visto agitarsi le false api o miopi
che contano sul visibile
per tirare avanti
per lasciare traccia di sé
oppure non lasciarla…”

*

VIII.

A noi è dato invece di comprendere
l’abbandono come la casa più nostra,
la suprema nobiltà che è nell’amore.


Emil Nolde, White lilies and red flowers on a blue ground, 1946, particolare


*

XII.

Potrei anche dire:
il riparo sta nelle tue mani,
nel nostro sogno comune,
nel vento che picchia sulle altane
e sui margini del cuore
dove ritorna quietamente
per piccoli segni crudeli
la leggenda della primavera.
Ma non c’è tempo, ammonisce, non
abbastanza vita per me.
Però resta con me.
Resta.

*

XIII.

Pazienza, ci vuole, e il gusto dell’attesa
perché le immagini raccolte dallo sguardo
nel ritmo del ritorno si risolvano
in figure.

Sunflowers in the windstorm, 1943, particolare


*

XVI.

Il distacco non è un progetto
della mente che desidera.
Semplicemente accade. Si dà. Scioglie
e ricompone il mondo nel suo centro.

Lascia che sia, che irrompa
in noi il suo interminato idioma,
linguaggio che connette
e ricapitola
le cose sparse, le nostre
povere cose umanamente amate.

Emil Nolde, In the lemon Grove, 1933, particolare


*

XVIII.

Mentre noi non siamo che un andare nel dolore
e tuttavia diciamo ancora vita
anche il fantasma dei nostri morti
appesi come per miracolo o per svista
all’orlo dove tornano a parlare
se li ascolti
con gli occhi aperti fino al limite
in cui l’amore si rispecchia nell’idea di sé
riconsegnandoci all’oscuro.

Emil Nolde, Sunrise at the sea, 1927, particolare


*

È tornato implacabile sul campo,
è un sole che libera e ha vinto il grigio ormai
e splende, sta su con le rondini, e insiste
sull’erba ancora umida
e sugli occhi.

Io ho pazienza e non riesco a riconoscermi fra gli altri
sul campo c’è Alberto in porta
e il mio doppio che tira i rigori.
Guardo la mole piatta di San Guido, un barboncino appisolato

all’ombra di un cipresso, lo steccato basso,
un pallone a spicchi colorati
con dietro in corsa un frugolino
e un uomo giovane in camicia,
sento l’aria raccogliersi e tremare
come per qualche presenza invisibile,
in attesa.

*

Massimo Morasso (Genova 1964) germanista di formazione, poeta, saggista e traduttore, ha pubblicato ampi studi su Cristina Campo, William Congdon, Walter Benjamin e Rainer Maria Rilke; ha tradotto dal tedesco: Ernst Meister, Rainer Maria Rilke, Yvan Goll; dall’inglese: Navarro Scott Momaday, William Butler Yeats, David Jones. Nel 2001 ha scritto la Carta per la Terra e per l’Uomo, un manifesto di etica ambientale sottoscritto da vari premi Nobel per la Letteratura e premi Pulitzer per la Poesia.
Tra le opere pubblicate, in prosa: Bagattelle intorno a un compito di civiltà, Galata 2008; La furia per la parola nella poesia tedesca degli ultimi due secoli, puntoacapo Edizioni 2009 (Premio Internazionale “Nuove Lettere” 2010); La vita intensa. I racconti di Vivien Leigh, Le Mani 2009; In bianca maglia d’ortiche. Per un ritratto di Cristina Campo, Marietti 2010; Essere trasfigurato, Qiqajon 2012; Il mondo senza Benjamin, Moretti & Vitali 2014; Fantasmata, Lamantica 2017; Rilke feat Michelangelo, CartaCanta 2017 (Premio Catullo 2018); Kafkegaard, Lamantica 2018; L’amore, il silenzio e la bellezza, Animamundi 2020; Le Indie di Genova, Lamantica 2020; L’obbedienza, Feeria 2022.
In poesia: Nel ritmo del ritorno, L’Obliquo 1997, Distacco, L’Obliquo 2000, Le storie dell’aria, L’Obliquo 2000 (prima, seconda e terza parte de Il portavoce, ora riunite nella presente raccolta La leggenda della primavera, Algra Editore 2023); Le poesie di Vivien Leigh. Canzoniere apocrifo, Marietti 2005 (Premio Città di Atri 2007); Viatico, Raffaelli 2010 (quarta, quinta e sesta parte de Il portavoce), La caccia spirituale, Jaca Book 2012 (settima, ottava e nona parte de Il portavoce); L’opera in rosso, Passigli 2016 (premio Prata 2017, Premio Gozzano 2017), American Dreams (Interno Poesia 2019).