Bologna, 29 aprile 1923 – Roma, 10 gennaio 1977


PASSO D’ADDIO

For last year’s words belong to last year’s language
and next year’s words await another voice

Thomas Stearns Eliot

Si ripiegano i bianchi abiti estivi
e tu discendi sulla meridiana,
dolce Ottobre, e sui nidi.

Trema l’ultimo canto nelle altane
dove sole era l’ombra ed ombra il sole,
tra gli affanni sopiti.

E mentre indugia tiepida la rosa
l’amara bacca già stilla il sapore
dei sorridenti addii.

*

Lasci al tempo la memoria, questo suo unico possesso; e non tolga al passato la veste bianca, se pure l’oggi le sembri nudo e scheletrico. Non conosciamo le alchimie dei giorni – né come incontreremo in futuro ciò che abbiamo abbandonato alle spalle.

*

Una ardente facoltà di contemplazione amorosa, là dove il possesso sarebbe più naturale e gratuito: forse è questa – contro ogni apparenza – la vera giovinezza; quella che nel poeta, nell’uomo di cuore, si prolunga fino alla morte.

Cristina Campo
astero rosso

*

La scrissi in una notte così stanca… Se ti capita di trovarti nei Musei Vaticani, vedrai nella sala egizia una custodia di vetro con dentro i corpi di due bellissimi giovani. E sopra quella coppia millenaria, che è l’immagine stessa dell’amore, c’è il cartello: “non erano uniti da alcun vincolo familiare”.

*

Ho chiamato mio padre e siamo andati ai Musei Vaticani. Tu sai, non è vero, a chi volevo far visita! Ma ci crederai: li hanno separati! Nella sala tranquilla che curva intorno al cortile, ora le teche sono due! A vederle il mio cuore si è diviso con loro… Nel Moriremo almeno, sono uniti per sempre.

*

Moriremo lontani. Sarà molto
se poserò la guancia nel tuo palmo
a Capodanno; se nel mio la traccia
contemplerai di un’altra migrazione.

Dell’anima ben poco
sappiamo. Berrà forse dai bacini
delle concave notti senza passi,
poserà sotto aeree piantagioni
germinate dai sassi…

O signore e fratello! ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:

“nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta”


*

Iersera venne Luzi per poche ore. Lo portai ai Cavalieri di Malta, quel luogo da Vida es sueño illuminato dal plenilunio. Era incantato — ma anche lui ha imparato a salutare ogni luogo bello, ogni minuto di silenzio e di vita come se fosse l’ultimo.

Piazza dei Cavalieri di Malta, Roma
astero rosso
Piazza dei Cavalieri di Malta, Roma

*

Ora che capovolta è la clessidra,
che l’avvenire, questo caldo sole,
già mi sorge alle spalle, con gli uccelli
ritornerò senza dolore
a Bellosguardo: là posai la gola
su verdi ghigliottine di cancelli
e di un eterno rosa
vibravano le mani, denudate di fiori.

Oscillante tra il fuoco degli uliveti,
brillava Ottobre antico, nuovo amore.
Muta, affilavo il cuore
al taglio di impensabili aquiloni
(già prossimi, già nostri, già lontani):
aeree bare, tumuli nevosi
del mio domani giovane, del sole

*

C’erano alberi di camelie colmi di fiori rossi, rosa e bianchi, come trofei barbarici. E dalla parte del mezzogiorno (al giardino del lago) una foresta rosa di mandorli da fiore. Per il resto, grazie a Dio, l’intero parco era brullo – perché arrivare quando è tutto in boccio, quando la rappresentazione è cominciata senza di me, mi dispera.

*

Mi prometta di non permettere questo: che ciascuno attenda e soffra solo. La notte sopratutto, che deforma e dilata.

Cristina Campo
astero rosso

*

È rimasta laggiù, calda, la vita,
l’aria colore dei miei occhi, il tempo
che bruciavano in fondo ad ogni vento
mani vive, cercandomi…

Rimasta è la carezza che non trovo
più se non tra due sonni, l’infinita
mia sapienza in frantumi. E tu, parola
che tramutavi il sangue in lacrime.

Nemmeno porto un viso
con me, già trapassato in altro viso
come spera nel vino e consumato
negli accesi silenzi…

Torno sola
tra due sonni laggiù, vedo l’ulivo
roseo sugli orci colmi d’acqua e luna
del lungo inverno. Torno a te che geli

nella mia lieve tunica di fuoco


San Michele in Bosco
astero rosso
San Michele in Bosco, Bologna

*

Esisteva l’immenso soliloquio, il privatissimo canone che insegna a ricondurre alla sua fonte e al suo fine la sorte di ogni uomo su questa terra: il Salterio. Per centocinquanta volte, con grida, con singhiozzi, con risa, con sussurri […] il Salmista non implora che di conoscere, o riconoscere, quello che gli appartiene “da tutta l’eternità, quindi per destinazione” […] Egli reclama, infine, il solo diritto della mente umana che sia indiscutibile perfino dinanzi a Dio: un orecchio perfetto col quale percepire la propria vocazione e melodiosamente corrispondervi.

*

Io non prego mai per i morti, io prego i morti. L’infinita sapienza e clemenza dei loro volti – come si può pensare che abbiano ancora bisogno di noi? – Ad ogni amico che se ne va io racconto di un amico che resta; a quella infinita cortesia senza rughe ricordo un volto di quaggiù, torturato, oscillante.

*

Roma respira greve ed enorme, nella caligine ardente.
Supremamente bella, a volte, nelle sue tremende basiliche vuote, nelle sue piazze di sangue coagulato che pare liquefarsi, fumando. Il tempo che cade in blocchi, un secolo sull’altro, audibilmente, tragico oltre ogni dire. La cupa ebbrezza di questo tempo, come braci che crollano. La notte, il solito odore di Basso Impero in putrefazione, ma anche profondi, puri momenti nei quali la città pare chiusa in uno smeraldo. Io non faccio che andare in giro per questo immenso labirinto di cerchi concentrici.

Piazza del Popolo
astero rosso
Piazza del Popolo, Roma

*

A volte dico: tentiamo d’esser gioiosi,
e mi appare discrezione la mia,
tanto scavata è ormai la deserta misura
cui fu promesso il grano.

A volte dico: tentiamo d’essere gravi,
non sia mai detto che zampilli per me
sangue di vitello grasso:
ed ancora mi appare discrezione la mia.

Ma senza fallo a chi così ricolma
d’ipotesi il deserto,
d’immagini l’oscura notte, anima mia,
a costui sarà detto: avesti la tua mercede


Ospedale Rizzoli, Bologna

*

Non è forse qui tutto l’immenso, l’incessante invito alla […] spogliazione da ciò che inceppa e inganna lo spirito per acquistare il piede leggero, il ritmo felice, dispensatore di felicità dai santi? Via gli abiti, per terra, sul pavimento dell’episcopio, l’amore perfetto vuole perfetta scioltezza dai lacci […] nient’altro che questo è l’ultimo senso del dare il proprio ai poveri, rinnegare se stessi, prender la croce e seguire il volo di quel passo, porgere l’altra guancia e rimettere i debiti.

*

Sprezzatura è un ritmo morale, è la musica di una grazia interiore; è il tempo, vorrei dire, nel quale si manifesta la compiuta libertà di un destino, inflessibilmente misurata, tuttavia, su un’ascesi coperta. Due versi la racchiudono, come un astuccio l’anello: “Con lieve cuore, con lievi mani / la vita prendere, la vita lasciare…”

Cristina Campo


Prima d’ogni altra cosa sprezzatura è infatti una briosa, gentile impenetrabilità all’altrui violenza e bassezza […] Non la si conserva né trasmette a lungo se non sia fondata, come un’entrata in religione, su un distacco quasi totale dai beni di questa terra, una costante disposizione a rinunciarvi se si posseggono.

*

Nella più semplice delle antiche cerimonie vi era la grande allure della visione: quell’eleganza di viva fiamma, quel dialogare serrato, rubato, rapito tra le potenze dell’anima e l’invisibile, quel cadere di pause interstellari – altra e più incalzante scrittura del Dio, che apriva nel blocco cieco del mondo mille punti di fuga verso il regno della bellezza soprannaturale: che è il regno degli specchi raddrizzati e dei ceppi caduti, dove prendere e lasciare sono una sola estasi.

Russicum
Sant’Antonio Abate all’Esquilino (Russicum)

*

Ora non resta che vegliare sola
col salmista, coi vecchi di Colono;
il mento in mano alla tavola nuda
vegliare sola: come da bambina
col califfo e il visir per le vie di Bassora.

Non resta che protendere la mano
tutta quanta la notte; e divezzare
l’attesa dalla sua consolazione,
seno antico che non ha più latte.

Vivere finalmente quelle vie
– dedalo di falò, spezie, sospiri
da manti di smeraldo ventilato –
col mendicante livido, acquattato

tra gli orli di una ferita


*

“Che io non voglia mai chiederti amore” dovrebb’essere il voto reciproco degli amanti, la formula sacramentale delle nozze. È un equilibrio impossibile, ma di che altro l’amore vorrà vivere? […] Ogni amore è un cammino sulle acque di Genezaret: un dubbio, un timore, uno sguardo in basso e si affonda. Gli occhi dovrebbero sempre restare alti, fissi al dio tranquillo che ci tende la mano.

Cristina Campo


*

La neve era sospesa tra la notte e le strade
come il destino tra la mano e il fiore.

In un suono soave
di campane diletto sei venuto…
Come una verga è fiorita la vecchiezza di queste scale.
O tenera tempesta
notturna, volto umano!

(Ora tutta la vita è nel mio sguardo,
stella su te, sul mondo che il tuo passo richiude).

*

Ci sono usignuoli perfetti che tutta la vita del bosco tace per ascoltare. Ci sono piccoli usignuoli apprendisti, che ripetono a lunghi intervalli la stessa frase – e qualche volta il maestro risponde, da un altro albero. Di tutto questo, infine, il miracolo sono le pause – come il cielo intorno a certe lune abbaglianti. Ma non ti ho detto niente, vedi? Quando si sente un usignuolo per la strada, ci si appoggia a un muro e si chiudono gli occhi quasi con paura – come dinanzi alle frecce dell’Amore antico.

Cristina Campo
Cristina Campo, salita a Sant’Anselmo

*

Ora tu passi lontano, lungo le croci del labirinto,
lungo le notti piovose che io m’accendo
nel buio delle pupille,
tu, senza più fanciulla che disperda le voci…

Strade che l’innocenza vuole ignorare e brucia
di offrire, chiusa e nuda, senza palpebre o labbra!

Poiché dove tu passi è Samarcanda,
e sciolgono i silenzi tappeti di respiri,
consumano i grani dell’ansia –

e attento: fra pietra e pietra corre un filo di sangue,
là dove giunge il tuo piede


*

Vivere, certo, mio caro amico. Non c’è nulla di più – nulla di meno – da fare. Quanto ad esser felici, questo è il terribilmente difficile, estenuante. Come portare in bilico sulla testa una preziosa pagoda, tutta di vetro soffiato, adorna di campanelli e di fragili fiamme accese; e continuare a compiere ora per ora i mille oscuri e pesanti movimenti della giornata senza che un lumicino si spenga, che un campanello dia una nota turbata.

Salita a Sant'Anselmo
astero rosso
Salita a Sant’Anselmo

*

Amore, oggi il tuo nome
al mio labbro è sfuggito
come al piede l’ultimo gradino…

Ora è sparsa l’acqua della vita
e tutta la lunga scala
è da ricominciare.

T’ho barattato, amore, con parole.

Buio miele che odori
dentro i diafani vasi
sotto mille e seicento anni di lava –

ti riconoscerò dall’immortale
silenzio

*

Dio è di una indicibile tenerezza con me da molto tempo ma in questi giorni sembra che ogni cosa, ogni persona, ogni stella che brilla sul capo di queste sere chiarissime di dicembre abbia da lui ricevuto il compito di spianarmi la strada.

*

Di giorno in giorno mi persuado sempre più che non ho altro rosario, altra spada, altro libro, altro cilizio che questo. E io non parto dall’amore di Dio – sto nel buio; ma vorrei fare qualche cosa che agli altri sembrasse nato alla luce. Ma devo purificarmi, lei non ha idea dei miei peccati, dei miei crimini posso dire.

Cristina Campo
astero rosso
Cristina Campo
astero rosso
Sul retro della fotografia, per Anna Bonetti


*

Ora rivoglio bianche tutte le mie lettere,
inaudito il mio nome, la mia grazia richiusa;
ch’io mi distenda sul quadrante dei giorni,
riconduca la vita a mezzanotte.

E la mia valle rosata dagli uliveti
e la città intricata dei miei amori
siano richiuse come breve palmo,
il mio palmo segnato da tutte le mie morti.

O Medio Oriente disteso dalla sua voce,
voglio destarmi sulla via di Damasco –
né mai lo sguardo aver levato a un cielo
altro dal suo, da tanta gioia in croce

*

Ma io non ho, davvero, che la poesia come preghiera – ma posso offrirla? E quando mai la sentirò così vera (non dico pura, ma è differente?) da poterla deporre a quell’altare – di cui non vedo e forse non vedrò mai che i gradini – come un cesto di pigne verdi, una conchiglia, un grappolo?

*

Solo la notte mi sveglio spesso piangendo – non lo faccio apposta però. Mi svegliano le lacrime, improvvisamente. Ma tu di questo non parlarmi, né per iscritto né a voce, hai capito?

Cristina Campo
Piazza Sant'Anselmo
astero rosso
La sua casa all’Aventino, Roma


Stasera l’accendersi improvviso delle luci sulla città ancora tersa e chiarissima, fece di tutto un orlo di mare. Il cielo era sabbia finissima, sciacquata da un’onda di luce fonda. E i lumi accesi l’uno dopo l’altro, sgranati lungo i ponti che fuggivano, era un arrivo di conchiglie fulgide sull’onda.

*

Nella gioia, noi ci muoviamo in un elemento che è del tutto fuori del tempo e del reale, con presenza perfettamente reale. Incandescenti, attraversiamo i muri.

*

Devota come ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,

su acutissime làmine
in bianca maglia d’ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…

*

Gli anelli docilmente svolti e riavvolti dalle aspidi sante vengono ad intrecciarsi da soli in questa semplice allegoria, ricca di splendori: il flauto dell’incantatore intesse e annoda aspidi come la mano del tessitore stami.
Le aspidi si ammaliano col più squisito degli strumenti e la spola che getta nell’ordito fasci luminosi di stami non è più rumorosa. Un vuoto ricolmato di silenzio, nel quale il destino precipiterà per legge fisica come l’energia nel vuoto pneumatico, è ciò che ci descrive San Giovanni della Croce.

*

Certo, la voce del flauto è remota. È quasi sempre impercepibile. Terribilmente tramata alle mille voci del tempo, alle musiche discordemente streganti del concerto mondano. Come un suono percepito in sogno, come la voce dell’usignoletto minuscolo, il cui dardo di diamante farà tacere tutti i suoni del bosco, è il suo delicato lamento.
Chi trasale a quell’esile trafittura conosce la contemplazione dell’udito. Ciò richiede una durezza affilata nell’ascesi dell’attenzione, perché quel suono è di continuo travolto via, lacerato e disperso dal sibilo del percepibile e niente è più facile che crederlo una morgana dell’orecchio. Altre voci, altri flauti simulano continuamente quel fuoco che si è morti se non si ode, e senza dubbio i concerti spuri furono di rado più persuasivi di oggi.


Cristina Campo
astero rosso

*

La totalità della virtù negativa che si richiede all’eroe di fiaba non è diversa da quella del monaco. Dopo sette anni, sette mesi, sette giorni di silenzio, cucendo camicie d’ortica, dopo le ordalie della bellezza e della paura, poteri non diversi gli verranno concessi: smagherà gli impietriti, restituirà possessi favolosi, ricomporrà graziosi mosaici di creature.
Il viaggiare del cavaliere tra le illusioni e i duelli è, lo sappiamo, un itinerario della mente in Dio. Ma che cosa adombrano le scene all’interno dei castelli, le notti di veglia d’armi, se non i momenti liturgici della vita: quegli spazi sacri dentro e fuori del tempo dove gli uomini si raccolgono a ricomporre in una mimesi stilizzata, il loro nesso con Dio?

Sant'Anselmo, Roma
astero rosso
Sant’Anselmo, Roma

*

QUADERNETTO

Un anno… Tratteneva la sua stella
il cielo dell’Avvento. Sulla bocca
senza febbre o paura la mia mano
ti disegnava, oscura, una parola.
E la sfera dell’anima e dell’anno
vibrava in cima a uno zampillo d’oro
alto e sottile, il sangue.

                                       Ne tremavano
sorridenti gli sguardi – all’accostarsi
buio di quel guardiano incorruttibile
che nei giardini chiude le fontane


Capodanno ’53-54

*

Non è la bellezza ciò da cui si dovrebbe necessariamente partire? È un giacinto azzurro che attira col suo profumo Persefone nei regni sotterranei della conoscenza e del destino. Si può senza dubbio chiamare “esorcismo” questo attrarre, per mezzo di figure, lo spirito, che di certe cose ha sempre una grande paura. Questo fanno i miti. Questo dovrebbe fare la poesia.

*

vi sono ore, momenti… Come stasera questo andante di Mozart, che sa tutto e dice tutto – quello che non vorremmo fosse saputo e detto – e per avere meglio ragione di noi lo dice con la dolcezza di chi ha accettato per tutti… Ho visto una strada meravigliosa, oggi. Tutta bruna – un silenzio come a San Leonardo – due alti muri musicali e oltre i muri (oltre i giardini, forse) leggere altane e campanili. A pochi passi ruggiva la città. A un tratto, in una curva del muro, s’è alzato un albero azzurro – grande come un castagno, ma tutto pieno, tutto limpido, di bocci color del mare.
Come la musica, l’albero – una stupenda, inesorabile rassegnazione.
Che senso ha tutto questo?

Salita a Sant'Anselmo
astero rosso
Salita a Sant’Anselmo, Roma

*

Il maestro d’arco

Tu, Assente che bisogna amare…
termine che ci sfuggi e che c’insegui
come ombra d’uccello sul sentiero:
io non ti voglio più cercare.
Vibrerò senza quasi mirare la mia freccia,
se la corda del cuore non sia tesa:
il maestro d’arco zen così m’insegna
che da tremila anni Ti vede


(Giardino Bonacossi
ottobre ‘54, a B.B.)

*

Poiché si sa che la perfezione è prima di tutto questa cosa perduta, saper durare, quiete, immobilità. L’uomo in meditazione, la donna sulla soglia, il monaco genuflesso, il prolungato silenzio dei re.

Porta San Paolo
astero rosso
Porta San Paolo, Roma

*

La primavera lotta nei rami nudi e neri. Oggi ho visto i primi fiori di mandorlo, molto pallidi – ma tutto è ancora scuro, disegnato come da un’unghia sui vetri. È un tempo pieno d’ansia, di miracolo e di pericolo. Le notti sono sempre freddissime.

*

Di certe pesche si dice in italiano che hanno “l’anima spicca”, il nocciolo, cioè, ben distaccato dalla polpa. A spiccarsi del pari il cuore dalla carne o, se vogliamo, l’anima dal cuore, è chiamato l’eroe di fiaba, poiché con un cuore legato non si entra nell’impossibile.

*

La necessità di accettare, l’uno dell’altro, la parte sconosciuta, fanciullesca, ferita […] richiede viaggi agli Inferi, salite al Carmelo, per mostrarci il suo volto. Come riuscire a fare al prossimo la domanda di Anfortas: “Fratello, qual è il tuo tormento?”

*

…Chartres, ma questa volta
con le tue statue ferite,
percosse dai freddi anni dei nostri peccati lontani,
Chartres senza campane,
senza fanciulle in giubilo sotto i tigli
(allora io volevo, di pura gioia, morire)
Chartres incatenata di corvi e di tramontane
come una rupe nel mare,
un solo raggio crudele a colpire
la guancia in lacrime di un tuo pastore –
piovuto è tempo e sangue su di te, cattedrale
sulla tua pietra serena
come una scorza – intriso l’Angelo – Meridiana
e come il nero giorno ferme le grandi ruote,
le vuote mole dei tuoi archi,
sull’Eure che scorre fango…


O mio giacinto dalla verde foglia
nella pianura fumida di pianto


(giugno ’52-settembre ’54)

*

“Abbelliscimi” – pregava Metafrasto, e in realtà chiunque abbia avuto la ventura di incontrare un santo non gli sarà facile, per tutto il resto della sua vita, pronunciare senza un’estrema cautela la parola bellezza.

*

Io siedo sui gradini, al centro di quel racconto fluido ed intricato; e dietro la persiana c’è la soluzione del geroglifico, c’è la risposta a tutte le mie domande.

banchina del Tevere, Roma
astero rosso
Banchina del Tevere, Roma

*

Il mondo, blocco ottuso e cieco, racchiude in ogni tempo una filigrana di esseri che vivono secondo regole che non sono di questo mondo. E sono gli esseri che mutano il cuore del mondo.

*

Vince nella fiaba il folle che ragiona a rovescio, capovolge le maschere, discerne nella trama il filo segreto, nella melodia l’inspiegabile gioco d’echi; che si muove con estatica precisione nel labirinto di formule, numeri, antifone, rituali comune ai vangeli, alla fiaba, alla poesia. Crede costui, come il santo, al cammino sulle acque […] Crede, come il poeta, alla parola: crea dunque con essa, ne trae concreti prodigi.

*

In realtà ciò che fa del destino una cosa sacra è lo stesso che distingue la poesia: la sua reclusione, segregazione, l’estatico vuoto in cui si compie. […] La scena del destino è concava tacita e risuonante come la cassa di un prezioso strumento.

*

Il dio toglie il senno a chi vuol perdere, dicono. Ma con quale accortezza lo toglie a chi vuol salvare.

Cristina Campo
astero rosso

POESIE SPARSE

Emmaus

Ti cercherò per questa terra che trema
lungo i ponti che appena ci sorreggono ormai
sotto i meli profusi, le viti in fiamme.
Volevo andarmene sola al Monte Athos
dicevo: restano pagine come torri
negli alti covi difesi da un rintocco.



Ma ora non sei più là, sei tra le grandi ali incerte
trapassate dal vento, negli aeroporti di luce.



nei denti disperati degli amanti che non disserra
più il dolce fiotto, la via d’oro del figlio…


*

Sto ascoltando il grande coro finale della Messa copta, sulle cui onde oceaniche cadono i colpi maestosi e infinitamente negligenti del tamburo segreto e sopravvive il suono argentino del sistro. È il passo della divinità in tutta la sua indicibile sprezzatura.

*

Nei Salmi troverà tutto, la storia mia e la sua, e tutto gettato meravigliosamente in grembo a Dio, un enorme diario di tutto l’uomo scritto per i soli occhi di Dio.

*

“Luce”, nel linguaggio di Dio, significa “prova”: un mondo di oscurità più alta e imperscrutabile.

*

Intorno all’immobile sole – Cristo – Cristo stesso, nella maschera tragica del sacerdote […] brilla, primo seme di luce, nel buio ventre dell’equinozio d’inverno; patisce nel crudele Aprile, erompe dal sasso come il vorticoso lillà dalla radice invernale; ascende nel meriggio e dall’alto ripiove sulla terra, in quel fuoco che è insieme pioggia soave, che accende ciò che è frigido e tempera con dolce refrigerio l’estate.

*

Partire dalla tabula rasa di un tempo “où l’on a tout perdu”, dalla Chiesa nuova e brutta di Cristo Re, o di Los Angeles, nel pomeriggio canicolare, e sia più possibile anonima quella chiesa, come un ospedale, un planetario o una stazione, per ricordarci che veramente “l’on a tout perdu”, fuorché la verità che abita in quel luogo – e che mai potremo ritrovare senza esserci spogliati di ogni ornamento – senza aver accettato l’anonimo, la nudità di questo tempo che è la sola sua forza.

Porta Maggiore
astero rosso
Porta Maggiore, Roma

*

Oltre il tempo, oltre un angolo

What sorrow
beside your sadness
and what beauty

W.C. WILLIAMS

Troppe cose hanno accolto le tue palpebre
l’attenzione t’ha consumato le ciglia.
Troppe vie t’hanno ripetuta,
stretta, inseguita.

La città da secoli ti divora
ma per te travede, sogno e sfacelo
di luci e piogge, lacrime senili
sulla ragazza che passa
febbrile, indomabile, oltre il tempo, oltre un angolo.

Ritorna! Gridano i vecchi di Santa Maria del Pianto,
la ronda della piscina di Siloè
con i cani, gl’ibridi, gli spettri
che non si sanno e tu sai
radicati con te
nel glutine blu dell’asfalto
e credono al tuo fiore che avvampa, bianco –

poiché tutti viviamo di stelle spente

Cristina Campo
astero rosso

Bisogna vivere tutto fino in fondo. Ogni volta che si torna indietro è per tracciare di nuovo il cerchio, ancora e ancora finché non sia perfetto. Vivere tutto con rispetto di sé – per questo ti ringrazio di avermi detto di questi giorni, il cerchio si traccia con la volontà di capire. Vorrei che tu lavorassi – sono preziosi i nostri inferni, cara.

*

Lavori, bisogna lavorare con cura, un po’ per giorno, pensando sempre, sempre alla bellezza […] Bisogna che noi almeno restiamo fermi al significato, anche se l’essenziale non sa essere l’assoluto. Ma può implicarlo, credo, come il pane l’ostia, se sapremo vivere con interezza, liberi e distaccati dovunque andiamo, l’occhio al centro delle cose, alla vita.

*

Cristina Campo
astero rosso
Lettera a John Lindsay Opie


Ogni giorno era – è spesso ancora – una pesante macina da sollevare. A volte sarei tentata di dire (ma so che è una tentazione) “né grano né smeraldi: come è possibile reggere certe prove?”. Anche le chiavi non servono più a nulla, nei giardini non c’è più nessuno.

*

La continuità degli alberi al di là di noi, i volti che al di là di se stessi e di noi e di chi verrà dopo conducono al Volto Unico.

*

Sindbad

L’aria di giorno in giorno si addensa intorno a te
di giorno in giorno consuma le mie palpebre.
L’universo s’è coperto il viso
ombre mi dicono: è inverno.

Tu nel vergine spazio dove si cullano
isole negligenti, io nel terrore
dei lillà, in una vampa di tortore,
sulla mite, domestica strada della follia.

Si stivano canapa, olive
mercati e anni… Io non chino le ciglia.
Mezzanotte verrà, il primo grido
del silenzio, il lunghissimo ricadere

del fagiano tra le sue ali

*

Il poeta, cioè l’aristocratico, ha la sua patria, la sua religione la sua famiglia: ce l’ha, in ogni caso: la religione della parola, la patria della lingua, la famiglia dei morti meravigliosi e severi. È sorvegliato ovunque, controllato da un seguito implacabile, da un cerimoniale più duro e più puro di quello degli imperatori di Bisanzio.

*

Misterioso è il narratore di fiabe. “Leggenda popolare” vediamo scritto in un libro, ma si sa che ogni vicenda perfetta è la vicenda di un uomo solo, che solo l’esperienza preziosa, caduta in sorte a un essere singolare, può riflettere, come una coppa fatata, il sogno di una moltitudine. L’evento irripetibile è storia universale, la massima profondità massima superficie.

piazza Sant'Anselmo, Roma
astero rosso
La sua casa all’Aventino, Roma

*

La fiaba, come i vangeli, è un ago d’oro, sospeso a un nord oscillante, imponderabile, sempre diversamente inclinato, come l’albero maestro di un vascello su un mare mosso.

*

Ci viene insegnato che nella lingua araba classica una radice comune lega tappeto e farfalla e certo non soltanto per la fascinazione dei colori. Il tessere e l’annodare alludono di per sé alle vicende ordite per gli uomini da invisibili mani. E si sa come il vocabolo greco che indica l’attimo senza ritorno, da cogliere come un fiore miracoloso − kairos – sia usato per definire un altro indefinibile: la momentanea, lampeggiante fissura tra l’ordito e la trama in cui la spola penetra fulmineamente, come la lama mortale tra i due pezzi di un’armatura.

Cristina Campo
astero rosso

*

Così io debbo amare questa lama fredda, che venne un giorno ad incastrarsi fra i cardini della mia anima per mantenerla ben aperta alle parole dei senza-lingua. […] Forse quando tutto quel muto grido vi sarà penetrato e io l’avrò conosciuto al punto da non poter più sbagliare (nel porre la domanda di Amfortas) Dio vorrà rimuovere la spada e lasciarmi un momento di silenzioso calore. Sperarlo adesso, credo non sia affar mio.

*

Estate indiana

Ottobre, fiore del mio pericolo –
primavera capovolta nei fiumi.

Un’ora m’è indifferente fino alla morte
– l’acero ha il volo rotto, i fuochi annebbiano –
un’ora il terrore di esistere mi affronta
raggiante, come l’astero rosso.

Tutto è già noto, la marea prevista,
pure tutto si ottenebra e rischiara
con fresca disperazione, con stupenda
fermezza…

               La luce tra due piogge, sulla punta
di fiume che mi trafigge tra corpo
e anima, è una luce di notte
– la notte che non vedrò –
chiara nelle selve.

*

Tutto il mutamento e il pericolo che è in quest’aria di ottobre – come una primavera capovolta nel fiume.

Ci sono tante cose che non capisco – che giorno per giorno cambiano volto e voce. Un giorno è indifferente fino alla morte – le foglie sono già raccolte in mucchi, per terra – un giorno il terrore di vivere s’apre come un astero rosso. Poi si conosce già tutto, si sa quel che avverrà, più o meno; eppure tutto si oscura e si rischiara con sempre nuova disperazione.

*

Ho scoperto che l’autunno non è né rosso né giallo, ma tutto rosa e nero. Globuli rosa su fondi blu-di-pioggia. E c’è una valletta, a Villa Borghese, dove si danno convegno tutti i cani di Roma – lupi bellissimi, boxer, grifoni – che corrono e si tuffano, in silenzio, nell’alto mare di foglie.

*

C’era una bruma di un rosa-lilla sui 14 campanili che si vedono dalle sue finestre, e in mezzo al cielo – tutta Roma guardava in su – uno stormo di circa 2 o 3000 uccelli (storni? passeri? non rondini di certo) formava figure indescrivibili di danza, ora in forma di fiore ora di calice, ora di medusa, ora di pesce alato. I movimenti erano di una sincronia da stormo da caccia, ma il numero enorme creava dei brividi, degli sfumati, dei chiaroscuri incredibili. Non avevo mai visto – e nessun altro, credo – uno spettacolo simile.

*

Ma un’ora è più bella dell’altra, da poco sono cominciate le nebbie e verso le 5 del pomeriggio, quando tutti i lumi sbocciano insieme sui ponti, sulla città ancora azzurra – non so dirle, tutto diventa mare – come un arrivo di meduse sull’onda ancora chiara – un affiorare e uno scorrere insieme, perché li vedo dall’auto quei lumi, e i ponti ruotano…

Tevere
astero rosso
Tevere

*

Il fiume è di un viola-nero trasparentissimo in cui si torcono sagome bianche di alberi, e il cielo un fumo vinato, pesante. A volte la pioggia cessa e la città deserta è una foglia nera, caduta – lucente e così fragile da crepitare nel pugno.

*

Elegia di Portland Road

Cosa proibita, scura la primavera.

Per anni camminai lungo primavere
più scure del mio sangue. Ora tornano sul Tamigi
sul Tevere i bambini trafitti dai lunghi gigli
le piccole madri nei loro covi d’acacia
l’ora eterna sulle eterne metropoli
che già si staccano, tremano come navi
pronte all’addio…

                          Cosa proibita
scura la primavera.


Io vado sotto le nubi, tra ciliegi
così leggeri che già sono quasi assenti.
Che cosa non è quasi assente tranne me,
da così poco morta, fiamma libera?

(E al centro del roveto riavvampano i vivi
nel riso, nello splendore, come tu li ricordi
come tu ancora li implori).

*

Fra poco è primavera, gli alberi da frutto dell’Aventino, potati da appena qualche settimana, sono già ricoperti di una guaina di bocci bianchi: persino il fragile pruno è già rosa e neppure le ultime gelate di febbraio, così crudeli, l’hanno potuto impaurire.

*

Conosce l’Isola Tiberina? Ci sono stata di notte, è uno scenario manzoniano. Due ponti stretti, con erme di vecchio marmo, e tra i due bracci del fiume l’isola a forma di mandorla: una chiesina barocca col suo sagrato, il grande ospedale scosceso, da pestilenze – e tante scalette, tante “botteghe chiuse”. Ma fra le pietre i tigli freschi e a filo d’acqua un’erba altissima, che stordisce dal gran profumo.

Ponre rotto, Roma
astero rosso
Ponte rotto, Roma

*

Ho visto case rosa a Grottaperfetta, sommerse da roseti e pagliai, con piccoli stemmi sulle porte delle scuderie – case dove forse, per qualche anno ancora, la gente potrà tacere, leggere, dormire – mangiare le stagioni una dopo l’altra nel sapore del latte, dei legumi, del pane.

*

Io vorrei che lei vedesse le strade azzurre, gli ippocastani di cristallo rosso, le piccole statue delle chiese stagliate sul cielo verde – come le ho viste io per la prima volta.

*

La Tigre Assenza

                                     pro patre et matre


Ahi che la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…

*

Qui il tempo è una sfera limpida. E la piccola luna gli ruota intorno. Io ho ridotto la mia vita alla mia stanza perché tutto il lavoro è sul tavolo, e anche questo fa blocco con il resto, in un macigno che chiude la caverna. Stamani alzandomi ho pensato: “Vivere per pura cortesia” ed era abbastanza esatto; ma poiché non si ha voglia nemmeno di morire, non si ha neppure diritto all’eleganza di una frase.

Cristina Campo
astero rosso

*

Ora non riconosco che quelle cose leggere, rigorosamente superflue, che debbono piacere ai morti: la seta, il profumo, certi strani gioielli, una musica senza conseguenze, senza misteri.

*

Me ne vado tutta in fogli, come una rosa alla tramontana. Purché rimanga un po’ di cuore.

*

Nobilissimi ierei

Nobilissimi ierei,
grazie per il silenzio,
l’astensione, la santa
gnosi della distanza,
il digiuno degli occhi, il veto dei veli,
la nera cordicella che annoda ai cieli
con centocinquanta volte sette nodi di seta
ogni tremito del polso,
l’augusto cànone dell’amore incommosso,
la danza divina del riserbo:
incendio imperiale che accende
come in Teofane il Greco e in Andrea Diacono,
di mille Tabor l’oro delle vostre cupole,
apre occhi del cuore negli azzurrissimi spalti,
riveste i torrioni di Sangue…

Che prossimità spegne
come pioggia di cenere

*

Il mondo d’oggi ha un fiuto infallibile nel tentar di schiacciare ciò che è più inimitabile, inesplicabile, irripetibile. Tutto ciò che non gli può somigliare.

*

Tutti provano questo terrore ma i più preferiscono sparare sulla bellezza o rifugiarsi nell’orrore per dimenticarla. L’odio moderno per i riti, del quale ho scritto alcune volte, è l’esempio centrale. Il rito è per eccellenza questa esperienza di morte-rigenerazione. So di parlare di qualcosa che i più non sanno che cosa sia, che qualcuno appena ricorda, che sopravvive soltanto in pochissimi luoghi sconosciuti.

*

Liturgia – come poesia – è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile. Essa è regolata da armoniose forme e ritmi che, ispirati alla creazione, la superano nell’estasi. In realtà la poesia si è sempre posta come segno ideale la liturgia ed appare inevitabile che, declinando la poesia da visione a cronaca anche la liturgia abbia a soffrirne offesa. Sempre il sacro sofferse della degradazione del profano.

Suprema umiliazione, XIV secolo, Monastero della Trasfigurazione, Meteora

*

Canone IV

Il Tremendo, conoscendone l’animo
pieghevole come il salice al vento dell’idolatria,
trasfuso ch’ebbe nella divina icone
il suo indicibile sguardo sugli uomini,
volle talora sottilmente provarne
l’antico occhio di carne,
un lampo trasfondendo della suprema Maschera
in un volto di carne:
centro celato nel cerchio, essenza nella presenza,
lido inafferrabilmente coperto e riscoperto
della Somiglianza, fermo orizzonte dell’Immagine,
all’incrocio del tempo e dell’eterno,
là dove la Bellezza,
la Bellezza a doppia lama, la delicata,
la micidiale, è posta
tra l’altero dolore e la santa umiliazione,
il barbaglio salvifico e
l’ustione,
per la vivente, efficace separazione
di spirito e anima, di midolla e giuntura,
di passione e parola…
O quanto ci sei duro
Maestro e Signore! Con quanti denti il tuo amore
ci morde! Ciò che dal tuo temibile
pollice luminoso è segnato
– spazio ducale tra due sopraccigli, emisferi
cristallini di tempie, sguardi senza patria quaggiù,
silenzi più remoti dell’uranico vento –
ancora e ancora, scoperta e riscoperta
la tua Cifra per ogni angolo della terra, per ogni angolo
dell’anima da te è gettata, da te è scagliata:
a testimoniare, a ferire,
a insolubilmente saldare
a inguaribilmente separare

*

L’incenso è inesprimibilmente misterioso. Esso è insieme preghiera e qualcosa di più fine, più acuto della preghiera. Compone l’aroma dell’eros con quello della rinuncia, è resa di grazia ed è, come il nardo, alcunché di soavemente ferale.

*

Cristo dalla barba bagnata, XV secolo, Galleria Tret’jakov, Mosca


“Souffrir pour quelque chose c’est lui avoir accordé une attention extrème.” (S.Weil) […] E avere accordato a qualcosa un’attenzione estrema è avere accettato di soffrirla fino alla fine, e non soltanto di soffrirla ma di soffrire per essa, di porsi come uno schermo tra essa e tutto quanto può minacciarla, in noi e al di fuori di noi. E avere assunto sopra se stessi il peso di quelle oscure, incessanti minacce, che sono la condizione stessa della gioia. Qui l’attenzione raggiunge forse la sua più pura forma, il suo nome più esatto: è la responsabilità, la capacità di rispondere per qualcosa o qualcuno, che nutre in misura uguale la poesia, l’intesa fra gli esseri, l’opposizione al male. Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione.

*

In un rapporto non immaginario – un rapporto dal quale il gioco delle forze sia escluso – nessun sentimento o pensiero regge a lungo isolato ma ciascuno si capovolge rapidamente nel suo opposto. Così la privazione è subito nutrimento, la volontà consenso, il dolore sentimento compiuto della presenza e l’umiltà una corona di grazia continuamente ricevuta e restituita. […] L’urto continuo e armonioso dei contrari conduce l’animo a una sorta di ardente immobilità, lo colma fino all’orlo di una vita che non trabocca perché il suo stesso muoversi la frena. “Dal centro al cerchio e sì dal cerchio al centro | mòvesi l’acqua in un ritondo vaso | seconda ch’è percossa fori o dentro”. Mais une amitié pure est rare.

Come una pura poesia. Che vive delle identiche leggi.

*

E tutto ciò, tutte queste cose irrimediabilmente condannate […] noi le viviamo con l’intensità inesprimibile di chi si è innamorato di una creatura segnata. E forse anche questo, essendo una passione, è parte della Grazia.

Cristina Campo
astero rosso

*

Ràdonitza

(annuncio della Pasqua ai morti)

Vento di primavera
traslucido come spada:
esilia dal sèpalo affilato
il boccio cremisi che ancora trema,
come dall’anima allo spirito,
il sangue della vena.
L’inverno, occulto stelo
che cullò le intenzioni, incubò le mortali esitazioni,
falcia senza un grido;
le psiche vecchiezze recide
della terribile vita.

Pasqua d’incorruzione!
Nel vento di primavera
L’antica chiesa indivisa
annuncia ai morti che indivisa è la vita:
su lapidi d’ipogei
posa i sèpali che ancora tremano
e al centro, al plesso, al cuore,
là dov’è sepolto il Sole,
là dov’e sepolto il Dono,
il piccolo uovo cremisi del perenne tornare,
dell’umile inconoscibile
trasmutato tornare.

Pasqua che sciogli ogni pena!
Paradossale deserto
di un cimitero metropolitano
tra morbidissime ali
di rondini e veli: quinto tono,
grida di boiardi a briglia sciolta, a spada snudata
nella celeste Città espugnata,
cui s’intreccia ed attorce, ottavo tono,
– come alla vivificante, venerabile Croce
dell’Archiereo la rosa che ancora trema –
il tenerissimo compianto funebre:

Pasqua memoria eterna!

Patetica, patrizia
morte della morte metropolitana
testimoniata da poche e immote bambole
di Corte asiatica: cremisi argento e oro.
Palpebre scavate,
palpebre affilate,
sguardi fissi, incollati, radicati
sugli ipogei di ogni terra, ogni memoria, ogni stirpe,
ogni morente psiche.
Fazzoletti tengono furtivi
gli angoli della bocca che riga come sangue
il divino grido, le barbe riarse dall’acqua
inesauribile della notizia tremenda:

Pasqua, memoria eterna!

*

Il rito è vita, come le Scritture; come il sole che ogni giorno sorge brilla e tramonta, eppure rimane inesauribilmente misterioso e diverso. L’immutabilità del vero rito fu voluta da Dio e da tutte le tradizioni appunto perché in quel ritorno cosmico, infallibile di figure si procedesse ogni giorno un poco di più nella complessità insondabile dei loro significati: ciò che non si lascerà mai esprimere in concetti razionali, ma solo indicare, alludere in gesti, suoni, simboli divinamente ordinati.

*

La bellezza […] è una virtù teologale, la quarta, la segreta, quella che fluisce dall’una all’altra delle tre palesi.

Cristina Campo
astero rosso

*

Ho dinanzi la montagna coperta di lance d’abete, su cui corrono, nere e oro, le ombre delle grandi nuvole leggere. Sotto, l’abbazia di un rosa-grigio prezioso, con il suo campanile quadrato, la sua torre di vedetta.

*

E al cerchio più esterno è il popolo: che intesse il proprio destino in quello plenario del Dio, in quelli verticali dei ministri, mentre lo intesse in quello dei vivi e dei morti e dei genî amorevoli che lo vegliano dal vasto planetario del tempio […] Simili concertati di destini oltremondani e terrestri, tutti e cinque i sensi li afferrano e li assorbono, con una sorte di terrore estatico, in certi rubati inenarrabili di voci, di gesti, di fiamme, di incensi che fanno della chiesa un vortice incandescente, un vivente telaio dalle spole sonore come plettri.

*

Io sono come un cervo sempre in fuga nella foresta. Quando arriva a uno stagno dove potrebbe specchiarsi, ha tanta sete che subito lo intorbida.

*

Piazza Navona
astero rosso
Piazza Navona

Diario bizantino

Due mondi – e io vengo dall’altro.

Dietro e dentro
le strade inzuppate
dietro e dentro
nebbia e lacerazione
oltre caos e ragione
porte minuscole e dure tende di cuoio,
mondo celato al mondo, compenetrato nel mondo,
inenarrabilmente ignoto al mondo,
dal soffio divino
un attimo suscitato,
dal soffio divino
subito cancellato,
attende il Lume coperto, il sepolto Sole,
il portentoso Fiore.

Due mondi – e io vengo dall’altro
.

La soglia, qui, non è tra mondo e mondo
né tra anima e corpo,
è il taglio vivente ed efficace
più affilato della duplice lama
che affonda
sino alla separazione
dell’anima veemente dallo spirito delicato
– finché il nocciolo ben spiccato ruoti dentro la polpa –
e delle giunture dagli ossi
e dei tendini dalle midolla:
la lama che discerne del cuore
le tremende intenzioni
le rapinose esitazioni.

Due mondi – e io vengo dall’altro
.

O chiave che apri e non chiudi,
chiudi e non apri e conduci
teneramente il vinto fuor della casa del carcere
e fuor dell’ombra della morte
e il senzatetto negli atrî luminosi
dei mille occhi impassibili
di chi ha compiutamente patito
e delle mani contro la notte levate
nel santo ideogramma della benedizione –
disegnati
ridisegnati
secondo gli otto toni che separano gli otto cieli
con l’erotico incenso e il ferale myron,
al centro del petto, al centro del Sole, là dove il Nome
– myron effuso è il Tuo Nome! –
rapisce in vortice immoto alla vita del mondo,
zampilla nuovi sensi dal mondo della morte.


Russicum
astero rosso
Russicum, Sant’Antonio Abate all’Esquilino, Roma



II
Uno a uno vengono accesi i volti
alle radici millenarie
della selva d’icone,
per fare di giorno notte,
neve e stelle,
per far della tenebra rose
– più che rugiada trasparenti rose.
E la fiamma sboccia come il bacio all’icona
e il bacio sboccia come la rosa all’icona,
culmini della linfa della terra,
culmini del respiro dell’amore.
Ma la Luna qui
sboccia nel Sole,
la Luna partorisce il Sole.

Alla pesante pioggia
dell’altro mondo s’intesse
il soave scrosciare delle dalmatiche di questo mondo,
l’altero volo dei veli di questo mondo
inenarrabilmente ignoto al mondo.
Estatici allarmi ed appelli
d’angeli ministranti:

Le porte! Le porte!
escano i catecumeni!
Tre volte beato l’inno,
tre volte divina la folgore
teologica dei Cherubini,
ingiunge di deporre, disperdere dimenticare
ogni sollecitudine mondana.

Nessun catecumeno rimanga!

O imperiale fragranza,
olio di rosa bulgara che misteriosamente dischiudi
tra ciglia umettate l’occhio
della fronte, l’occhio del cuore, l’occhio del Nome

– myron effuso è il Tuo Nome!
Macerato con sessanta aromi
su un fuoco di vecchie icone
estinte da baci da fiamme e da lacrime
per gli eoni degli eoni
ruotate tre notti
tre giorni
sulle spirali del Verbo,
stilli ora luminosa intorno al trono
del Basileo morto
dell’immortale Archiereo:
che tragicamente s’arma, aquila librata
sopra la gnostica aquila della città inviolata
dal capo alla mano alla gamba
per la terrificante operazione
.
Tempo è di cominciare, Despota santo…
Nessun catecumeno rimanga!
Ruota
lentissima intorno e folgorante
siderale e selvaggia
danza d’angeli e di ghepardi…

Pànico centrifugo
e centripeto rapimento
dei cinque sensi nel turbine incandescente:
spezzato, aperto di forza l’orecchio dell’intendimento
dalla ritmata percossa delle catene d’argento;
poi, nel cosmico manto
dei tre fiumi e dei quattro quadranti
dalla lenta inaudibile benedizione:
poiché qui Dio non parla nel vento,
Dio non parla nel tuono:
parla in un piccolo alito
e ci si vela il capo per il terrore.

III
O despota ferito
che col bisturi d’oro
ad ogni sole tagli nel tondo Sole
l’Agnello immedicabile,
tagli la Luna sovrana, tagli le Stelle fisse
e le opposte galassie
(cibo di salute, cibo di pace!)
dei vivi sui due versanti della morte!
Tremendo è che nei nostri sguardi affondi
l’impassibile sguardo
di Chi ha compiutamente patito,
di Chi con la stessa mano imparte ed è impartito,
e spezzando è spezzato,
immolando immolato,
mangiato e mai consumato

(con desiderio ho desiderato…)
Tremendo che a ciascuno
sia di nuovo irrevocabilmente assegnato
per gli eoni degli eoni
come nell’Eden il suo nome e il suo cibo.

Faccia a terra le incorporee Legioni,
gli Arcistrateghi di luce,
i nostri denti affondano nelle carni dei cieli…
Ma le nostre bocche mai svezzate,
in eterno grondanti la purpurea
gloria ciecamente donata
e ciecamente ricevuta,
si ostinano a impetrare
(con desiderio ho desiderato)
per te, per te, signore,
la pace che sovrasta ogni ragione,
ogni intendimento, ogni tradimento: la pace
che non ti possiamo dare…

Lungo l’intero giorno,
lungo l’intera via che porta a questo mondo
e cancella ogni via che porti a questo mondo,
lungo la dura tenda
di pioggia e lacerazione
di caos e di ragione,
lungo i due fili della duplice lama
di intenzioni e di esitazioni
come te, come te, signore,
noi siamo consegnati a quella morte
che con più denti dell’amore morde
e separa la rosa
dal bacio e dalla fiamma e dalle stelle le nevi
e l’emozione dall’intellezione
e il mondo ricompone
ma atrocemente, ma come attraverso il fuoco,
per chi, Despota puro, dal puro Nome sarà salvato
e dal sepolto Sole e
dal tremendo
Dono.

IV
Nell’oro e nell’azzurro
di questo minimo cosmo
loculo d’antichissimo colombario,
gyrum coeli circuisti sola,
neonata parola
du kleine, waffenlose Dichterin! Per un’ora
nei padiglioni del tuo Creatore
gyrum coeli giocando ti fu ridato
l’anello bianco di San Vitale
la costellazione sovranamente immota,
sovranamente ordinata
intorno al sole del temporale signore
e del signore spirituale:
i cento occhi cherubinici non fissi su di te
ma sugli augusti deserti che dovrai traversare
che ti dovranno traversare.
Dai cigli sconfinati
sopra il latteo pallio di Massimiliano
alla stola color foglia del fanciullo di frange nere
che, rosa
– più che neve trasparente rosa –
lascia tremar sul cero la fiamma come un bacio,
lascia tremar l’aër, neve leggera,
e lo sciàmito purpureo sul Calice che non è dato
durante cinquanta giorni
nemmeno contemplare…

O Coppa dei Misteri che bolle e non trabocca,
come il tuo sangue, specchio del tuo Sole!
o tacere dei canti, polverizzato il cuore!
Cocente, celestiale,
cadenzato dolore
che, neonata, giocando dinanzi al tuo Creatore,
circuisti sola

*

Un silenzio abbandonato è ristagno; un silenzio affermato è pausa – puro intervallo – anche se infinito.

*

La matematica pura della mistica combacia precisamente con le leggi della poesia.

Madonna di Sant'Alessio
astero rosso
Madonna di Sant’Alessio

*

La liturgia mi viene sotto la penna qualunque cosa io scriva. Soprattutto quando nel discorso entra in qualche modo il destino […] la liturgia è l’archetipo supremo del destino […]. È, per così dire, la suprema fiaba quella a cui non si può resistere.

*

Non faccio che pensare in quale modo trovarle, mandarle un breviario, che non solo trasformerebbe le sue ore, ma anche il paesaggio, il silenzio intorno a lei. […] non è un libro da leggere solo di sera e nel silenzio. Credo anzi sia il libro che dovrebbe crearci ovunque, a seconda della nostra fedeltà, sera e silenzio. Questo s’impara lentamente.

Cristina Campo
astero rosso


La sua voce, qui

Cristina Campo-Alessandro Spina, Carteggio, Editrice Morcelliana 2007
William Carlos Williams, Cristina Campo e Vanni Scheiwiller, Il fiore è il nostro segno, Carteggio e poesie, a cura di Margherita Pieracci Harwell, Libri Scheiwiller, Milano 2001
Cristina Campo, Caro Bul. Lettere a Leone Traverso (1953-1967), a cura e con una nota di Margherita Pieracci Harwell, Adelphi 2007
Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi 1987
Cristina Campo, Il mio pensiero non vi lascia: lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, a cura e con una nota di Margherita Pieracci Harwell, Adelphi 2011
Cristina Campo, Lettere a Mita, a cura e con una nota di Margherita Pieracci Harwell, Adelphi 2008
Cristina Campo, Se tu fossi qui: lettere a María Zambrano 1961-1975, a cura di Maria Pertile, Archinto 2009
Cristina Campo, Sotto falso nome, a cura di Monica Farnetti, Adelphi 2002
Cristina Campo, Un ramo già fiorito: lettere a Remo Fasani, a cura di Maria Pertile, Marsilio 2010
Cristina Campo, La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, Adelphi 1991
Margherita Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, Edizioni Studium 2005
Cristina De Stefano, Belinda e il mostro, Adelphi 2002
Cristina Campo in immagini e parole, a cura di Domenico Brancale, con una nota di Maria Pertile, Ripostes 2022
Cristina Campo, La disciplina della gioia, con le lettere a John Lindsay Opie, a cura di Maria Pertile e Giovanna Scarca, Pazzini 2021
Rossella Farnese, Il vuoto e la grazia: poesie, traduzioni, lettere di Cristina Campo, Fondazione Mario Luzi Editore
Cristina Campo, Il senso preciso delle cose tra visibile e invisibile, a cura di Chiara Zamboni, Mimesis 2023
Cristina Campo, La via dell’interiorità redenta, AAVV, Edizioni Feeria 2012
Massimo Morasso, In bianca maglia d’ortiche, per un ritratto di Cristina Campo, con una nota di Alessandro Spina, Marietti Editore 2010

a cura di Isabella Bignozzi