La Vita Felice 2017

collana Agape, a cura di Diana Battaggia

Prefazione di Cinzia Marulli

Dalla prefazione:

Scrivere della poesia di Stefania Di Lino significa affrontare un percorso complesso che necessita di una mente libera, scevra di precostruzioni mentali. Non siamo davanti a una poesia semplice. Essa si configura fortemente stratificata e proprio per questo assume connotazioni e significati diversi e paralleli. È una poesia che parte dal dolore per giungere al bene come mezzo di guarigione e speranza […] A ogni lettura dei testi di Stefania emergono significati, evocazioni, immagini nuove, via via sempre più profonde. Sicuramente si tratta di una poesia intrisa di vita e di pensiero. Non è una costruzione mentale, ma la materializzazione di un vissuto.
[…] Il libro è complesso, articolato, risultato di una ricerca costante, che abbraccia l’esistenza nella sua interezza spingendosi oltre, in dimensioni “altre”, a volte, anche oniriche.
È un’esperienza profonda che ci porta a esaminare il nostro io individuale e il noi universale con prospettive diverse, ma sempre, sempre pervase da un’aspirazione salvifica.
[…] Stefania Di Lino nega il verso nel senso tradizionale del termine e crea un modo originale di collocare le parole sul foglio. Il verso, perché tale è, non è definito da un “a capo” ma da un segno grafico singolo o doppio che dona respiro non solo alla lettura, ma al senso stesso della poesia. Siamo di fronte all’ opera di una donna-artista che prende in mano la propria poesia e la modella fornendole una forma estetica e contenutistica insieme.
È come se tutto fluisse senza interruzione apparente, come se le parole fossero un corso d’acqua nel quale scogli sparsi, ma non a caso, tentassero di limitarne il flusso, senza però riuscirvi e, al termine, là dove il fume si getta nel mare, a volte troviamo un luogo inatteso simboleggiato, per esempio, da una virgola posta alla fine del dettato come a dire che in realtà tale fine non esiste realmente.

Cinzia Marulli


Egon Schiele, Quattro alberi, 1917


*

ecco il tempo in cui / il ricordo passa / di mano in mano passa come un testimone / (di mano in mano) il ricordo perde / cedendo ogni volta all’oblio qualcosa / prosciugatezza di parole / quasi fosse partita pari e patta / che non abbia come posta la vita / se non fosse che sulla fronte / coli il sudore / di una guerra mai finita / e di disfatta / e allora saranno i poeti pessimisti / quelli seri severi / i maledetti / neri come gatti neri / ad incendiare le notti / a dar fuoco ai pensieri,

*

c’è sempre un uomo da baciare forte / sulla bocca/ un bambino da proteggere / un pianto da consolare / un gioco da inventare insieme/ una testa da accarezzare / una mano sicura da offrire stringere sodale / un sorriso da lanciare come fune / e una fune tesa da trasformare in ponte / per riunire del fiume le due sponde // c’è sempre una guerra da smettere / e l’amore da fare.

Egon Schiele, Gli amanti, 1917


*

era un tutt`uno di festa che partiva dal collo / e poi giù giù / fino alle lombari / lo spazio intercostale / invece ammortizzava / e parlava da solo / premendo e pigiando / di tanto in tanto / una costola alla volta/ un vibrafono al ritmo sincopato del cuore / e le coste vibravano e suonavano / nel ristretto ambito toracico / era orchestra / gioia di vivere / più spesso invece era dolore / era sinfonia d’organi / afflati / insufflati / raddoppiati dall’albero bronchiale / armonium, era / nella càvea del mediastino /teatro greco in piena tragicommedia / nella grancassa toracica / alveo del cuore / prolasso mitralico / a volte / infermità di parole,

*

la mia vita è piena di morti / che erano tali / ancor prima di morire / erano tutti taciturni /o tergiversanti / sbadigliavano pigri sulle cose per me importanti / erano tutti così elegantemente scostanti / borghesemente sobri / poco visibili / di colore grigio catrame / da confonderli quasi con l’asfalto stradale / al punto che io non vedendoli / non feci in tempo a frenare,

Egon Schiele, Due donne in un abbraccio, particolare


*

ho visto giovani che sorridevano agili / mentre scavalcavano la notte /e danzando attraversavano la storia / li ho visti correre e poi saltare / in giravolte / nei boschi / li ho visti armare l’arco di frecce / scalpellare selci appuntite / con abile leggiadria / e scolpire / per poi piegare / l’atroce senso delle cose / asciugare il sangue nero / pestato negli arbusti delle more /e poi ricominciare il gioco

(vi parlo dei miei figli / che furono bambini / quelli impastati dal sangue nella terra / non fatti per morire degli altri la guerra / ma per costruire felici i loro destini),

*

c’è un dilavamento di pioggia/ che scorre sul crinale di un monte imbronciato / spezzettamenti e rotolamenti di roccia / che scorrono / in caduta libera /e solo dal primo ostacolo fermati / parlo di ciò che accade / sul fianco offerto all’inclemenza /parlo di rami e di radici violate / che erano prima ricamo / mani intrecciate/ pronte a tenere / a parare nel crollo l’aderenza / parlo di radi camminamenti / che solo in rare stagioni / si aprono al sole / parlo del tempo passato / e dei momenti degli esseri viventi /a discernere / a leggere del pietrisco / le mute sostanze dei fossili insorgenti,

Egon Schiele, Albero d’autunno mosso dal vento, 1912


*

c’era bisogno, sai / di sostare/ sulla riva del fiume che scorreva / era un’idea ferma delle cose / la ricerca di questa che premeva / direzionare altrove poi lo sguardo/ sul diacronico sincronico destino / andare per giorni / entrare uscire / ribaltare / lo sguardo sulla storia / perdere o non perdere memoria / sai solo che non c’è ritorno / indagare il senso di te di me /e l’oscura ragione / delle cose attorno,

*

è quella vertigine di cielo / a stabilire distanze / io invece qui / ove solo terra mi tocca,

Egon Schiele, Herbstsonne, 1914


*

tornerà presto il tempo / della parola ritrovata e detta / quando l’assenza sarà seduta / finalmente stanca / ogni parola sarà per vocazione / ogni radice terra vicinanza,

*

erano passi memorabili / sulle cime tempestose / di alberi senza più radici / in equilibrio instabile / per combattere marosi / tra flutti naturali / e in quanto naturali impietosi / stralci di vita/ conti rimasti sospesi/ su cui mai era stata / tirata una riga / riemergevano a pezzi/ i pezzi di vita / morta ammazzata/ riemergeva in ordine sparso a dimostrare /che non era il fondo buio del mare / il destino spietato/ era altrove che si voleva portare i bambini a giocare,

Egon Schiele, Krumau on the molde, 1912


*

cercati si erano nella definizione / e fu gioia naturale che da sé cantava / il trovarsi struggente / tenersi forte nel laccio delle mani / nell’intreccio che insieme alimenta il sangue / fu miele colato inaspettato / che silenziose nel tempo fanno le api / fu trasparenza ambrata al tramonto / solitudine che improvvisa fioriva // “Che ne sarà di noi?” – lei chiedeva / “Che ne sarà di tutti noi?” – / lui con domanda rispondeva / – “E delle tue mani su di me / che cercano e portano doni / le tue mani di padre e di madre” / dimmi / “Che sarà delle tue mani?”,

*

là c’erano / e si udivano / tra rami colmi di notte / attraverso foglie che tremavano / antichi passi guerrieri/ e rumori di ossa /– si nasce tutti dal bosco, sapete, e là si torna / perché è la terra a chiamare / una foglia al vento il suono modulava –/ e poi il sole tra i rami/ epifanie abbaglianti / dal becco in volo gli uccelli / è nudo il percorso – diceva – / è asperità che abrade il ventre delle serpi / e radici sotterranee / rabdomanti della salvezza / cercano / stringono forte / legano,

Egon Schiele, Alberi d’autunno, 1911


*

noi/ che portiamo gocce sulla punta dei seni / semi spargiamo dalle mani / e nella spina dorsale / conserviamo le cellule dei figli / di quelli mai nati e di quelli mai risorti / e sul viso abbiamo i solchi delle strade / lungamente battute / percorse / noi che sfidiamo il tempo / e sul volto abbiamo / tutte le età del mondo,

*

si stanca la pelle per gli anni versati / un lento dolore appanna i vetri / gocciola/ a poco a poco / scivola / quel tocco di nero a mimetizzare / l’amara mistura / di lacrime mai piante // si ode appena un quieto lamento del vivere,

*

Stefania Di Lino è nata a Roma, dove vive e lavora. Allieva dello scultore Pericle Fazzini, e del Poeta e critico d’arte Cesare Vivaldi, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, si specializza alla Calcografia Nazionale del ministero dei Beni Culturali e Ambientali, e si abilita all’Insegnamento per i Licei, occupandosi anche di formazione. È presente da anni in numerose manifestazioni artistico-letterarie, coniugando spesso la parola con l’immagine in opere di Visual Poetry. Da anni partecipa a reading pubblici di poesia.
Nel 2012 pubblica la sua prima raccolta di poesie Percorsi di vetro (DeComporre Edizioni), cui segue il presente poemetto La parola detta (La Vita Felice 2017). È presente in numerose antologie e riviste letterarie, tra cui I fiori del male (2016).
Con un suo testo critico partecipa al X Festival Mondiale di Poesia, Caracas, in Venezuela; nel 2014 alcuni suoi testi vengono selezionati dall’UNEscO di Torino, per la giornata “Etica Globale e Pari Opportunità: il contributo delle donne allo sviluppo dell’Europa e del Mediterraneo”, pubblicati e tradotti in diverse lingue. Nel 2015, nell’ambito del programma dedicato alla Rassegna Poetica, presso la Galleria Biffi di Piacenza, con il poeta Franco Di Carlo, partecipa con una sua performance denominata Dialoghi poetici. Nel 2021 pubblica Il corpo del padre, Le Gemme, Edizioni Progetto Cultura.