a cura di Maria Allo

Giuliano Ladolfi Editore 2023

Collana Perle poesia, direttore Roberto Carnero

Prefazione di Andrea Di Consoli


“Avevo sette anni e un sogno:/ quello della terra rossa dentro al petto/ Arrivammo con la Calabro-Lucana ch’era maggio / c’era il tutto dei bambini in quel ritorno […]”.
Questo è il secondo testo del nuovo libro D’argilla e neve (Giuliano Ladolfi Editore 2023) di Maria Pina Ciancio. Sono versi che rivelano dietro la veste realistica il valore simbolico della scrittura, nel senso che il mondo assume significati ancestrali agli occhi della poeta. Come nelle forme del mito, tramandataci dalla civiltà classica, si riassumono in questa silloge i significati fondamentali dell’esperienza umana dell’autrice; e ugualmente in ciascuno di noi, fino dall’infanzia, la realtà esterna si carica di valori particolari legati alla propria vicenda, alla storia collettiva, alle forze più nascoste della natura. Ed è proprio la riscoperta delle sue radici e dell’antichissima sapienza della terra Lucana, pervasa dal paziente dolore dei contadini del Mezzogiorno, percepibile nell’immediatezza espressiva del dialetto, il motivo centrale in D’argilla e neve. Tuttavia, in un evidente alternarsi di motivi, il carattere visionario dell’esperienza e il rifugio nei luoghi di ”appartenenza” diviene un itinerario continuamente sospeso tra ieri e oggi, di disincanto e nostalgia, e si offre nella melanconia struggente di cose perdute: “i miei occhi/ un transito di stelle/ e di voragini” (p.11) o “Si strozza nella gora il canto della voce/ tagliato da chilometri d’asfalto/ che divide terre e tempi del presente/ la Murgia, la Gravina, i Sassi” (dal titolo “Impronte controvento”, p.13). Assume dunque rilievo la riflessione dell’autrice che il ritorno si configuri come recupero problematico, ricerca di un perduto stato di natura che spesso coincide con il paradiso dell’infanzia, e diviene confronto con il mondo mitico del passato contadino con i valori di una civiltà patriarcale dalle solide tradizioni: “In queste terre del sud la bellezza/ si disfa e si consuma a priori” o “E non so in quale parte di noi perduri la grazia/ resista ancora la bellezza”( p.14); e ancora “Ciò che resta sono solo/ queste antenne arrugginite“  o  “La vita inaridisce senza grazia/ e dimentica impietosa/ la lotta e il sacrificio/ l’uomo che si sveglia acciambellato/ sopra i tetti/ e sogna ancora la terra dov’è nato” (p.17). Segue, a questo punto, con stile pacato e tono impersonale, il secondo punto riflessivo della Ciancio che, avendo sperimentato il senso di sradicamento e la condizione di esilio, si scopre ”radice sepolta tra il pero/ e un cielo d’inverno” (p.21). Dunque il ritorno si configura così come recupero non sempre riuscito delle proprie radici, e diviene causa di solitudine:  “ognuno muore/ circoscritto nel proprio sentimento/ di solitudine” (p.18). Tuttavia il rifugiarsi “nel solco dei Calanchi abbandonati” non si risolve in evasione e disimpegno, o rifiuto a vivere, bensì diventa occasione per ritrovare il senso dell’esistenza, per rivalutare la dimensione della memoria e tentare di vincere la solitudine. “La memoria arretra e cede sotto i passi/ come un vecchio stanco e senza nome/ È lo scotto dell’esilio che per troppa nostalgia/ svuota il petto dai ricordi” (p.43) o “Stanotte ma scipparu/ e a jtteri i cani” (p.59). Maria Pina Ciancio indica quindi quella che ritiene, nella presa di coscienza che segna la fine dell’inevitabile arido vero, l’unica scelta consapevole all’alternativa del nascondersi dietro i sogni e le illusioni: “Sull’impronta del dubbio il segreto è uno solo/ essere abbraccio/ lì dove si è” (p.31). Una scelta importante sia sul piano della poetica che su quello etico.  Si inaugura perciò una comunione più piena con gli altri perché “le solitudini hanno perimetri di attesa”: quel senso di appartenenza alla condizione umana che costituisce un vincolo più profondo del legame di appartenenza nazionale. Infine la poeta sceglie come emblema della sua (r)esistenza la parola come una ragione di vita: “Sulla via che ci incontra/ il vento sale e a te mi riconduce” (p.50) o “mentre trattengo il fiato-ti cerco-/e mi disperdo/ come fa il vento con il grano” (p.53), “per ritrovare il tutto/ nel riparo atteso della neve” (p.54). Ecco, Maria Pina Ciancio intende la sua arte non come divertimento o romantica manifestazione del suo genio creativo, ma come privilegiato mezzo per tentare di decifrare la complessità del reale e riconciliarsi con essa.


Fotografia di Mario Carbone


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da: Maria Pina Ciancio, D’argilla e neve. E cinque poesie in dialetto lucano. Giuliano Ladolfi Editore 2023



I miei occhi / un transito di stelle / e di voragini

Tutto ciò che non dico è oltre il sud
anche questi fiori d’argento alla finestra
e questa gioia (…) così isolata nella sera
sconsacrata da gesti che ritornano lenti
a un rituale d’avanzi

Anelli che si staccano a scuoterli troppo
e si disperdono per troppa stanchezza
per troppa trasparenza d’intenti


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In viaggio

Ritorno nella mia isola del sud
A ogni chilometro che si riduce
un’arrendevole quiete
ferocemente si espande
Ciò che temo di me
è questa fragilità
ogni volta rinnovata
lo spavento dei nidi scoperchiati
l’osso spolpato nella neve
la riduzione già saputa
della vita


Fotografia di Mario Carbone


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Sull’orlo della crepa

Ho imparato a riconoscere le pietre dai colori e così
la terra. Quella che tiene e quella che frana e cede
sotto i passi e spacca in due il paese e gli incroci
troppo stretti della vita. Qui, sull’orlo slabbrato della
crepa ho incontrato facce e sguardi che dicevano di
affanni e di paure. Di abbandoni e silenzi millenari.
E mi erano tutti fratelli e sorelle d’altra carne, ciascuno
senza sapere come, senza sapere d’esserlo.


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Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno
le guance rosse e gli occhi aperti al cielo
oltraggiati dalla pioggia
schermaglie di bambini
senza un grido
Ho un cielo d’inverno da inseguire
risvegli e riverberi di resine
memorie di partenze e di ritorni
benigne solitudini

Sulla via che ci incontra
il vento sale e a te mi riconduce


Fotografia di Mario Carbone


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Chiove
e pure se m’ammogghju sul a capa
affunnu cu tutta a scorza
a inta u simminatu
e i frunn ancora russe
i luna chjna

Piove / e pure se mi bagno solo il capo / affondo col corpo
intero / dentro il seminato // e le foglie ancora rosse / di
luna piena



Fotografia di Mario Carbone (particolare)


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Maria Pina Ciancio di origine lucana è nata in Svizzera nel 1965. In poesia ha pubblicato: Il gatto e la falena (Premio Parola di Donna, 2003), La ragazza con la valigia (LietoColle 2008), Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro (Fara 2009), Assolo per mia madre (L’Arca Felice 2014), Tre fili d’attesa (plaquette d’arte a cura dell’Associazione LucaniArt, 2022). In prosa: La mongolfiera azzurra (I fiori di campo 2002), La Madonna del Pollino. Festa e devozione popolare (Il Coscile 2004); nel 2012 ha curato il volume antologico Scrittori & Scritture – Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani (a cura dell’Associazione Culturale LucaniArt).
Presente nelle collettive: Orchestra (a cura di Guido Oldani, LietoColle 2010); Il rumore delle parole – 28 poeti del Sud (a cura di Giorgio Linguaglossa, EdiLet 2015); Sud – Viaggio nella poesia delle donne (a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor 2017); Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020 (a cura di Mario Fresa, Società Editrice Fiorentina 2021).
Con il libro Storie Minime e una poesia per Rocco Scotellaro nel 2022 ha vinto Il Premio Nazionale di Poesia Leandro Polverini per la poesia minimalista; nel 2015 la X Edizione del Premio Letterario Gaetano Cingari; nel 2014 il Premio Internazionale della Migrazione – Attraverso L’Italia, e il Premio Letterario Città di Cerchiara – Perla dello Jonio; nel 2009 il Premio Tremestieri Etneo.
Dal 2007 è presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt.

cianciomariapina.wordpress.com/

https://lucaniart.wordpress.com/

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Maria Allo (Santa Teresa di Riva, ME) è laureata in Lettere classiche, vive e opera tra Catania e Parigi. Docente di Italiano e Latino, ha partecipato a diverse antologie poetiche ed è risultata vincitrice in numerosi concorsi letterari. Tra le sue pubblicazioni: I sentieri della speranza (Gabrieli editore, 1985), Riflessi di rugiada (Albatros, Nuove voci, 2011), Al dio dei ritorni (Galassia Arte, 2014), SolchiLa parabola si compie nei risvegli (L’Arcolaio, 2016), La terra che rimane (Edizioni Controluna, 2018), Talenti di donna (Onirica edizioni, 2013); ha curato Radure (Ladolfi, 2019). È presente con saggi e contributi su molte riviste; ha tradotto il poemetto L’ombra di Athos, testi di Canti di misconosciuta gloria e Guida per la sopravvivenza di giovani esordienti del poeta greco Σωτήριος Παστάκας. Traduce testi di poeti greci su Εξιτήριον .

Maria Allo è anche qui: nugae11.wordpress.com