Delta 3 Edizioni, collana AECLANUM, a cura di Eleonora Rimolo

Prefazione di Cristiano Poletti


Ogni essere umano vive la propria esistenza nel contesto spaziotemporale che lo accoglie: essere qui significa dispiegare sé stessi, in azione e parola, interagendo con ciò che è territorio e storia, nella dimensione personale dell’io e in quella condivisa della moltitudine. La qualità del sentire al cospetto di questa condizione determina il passo, per ciascuno, del suo dire e muoversi nel mondo.
Alessandro Grippa nella sua recente raccolta poetica Revisioni (Delta 3 Edizioni 2021) attraversa i luoghi del vivere umano, del suo insediarsi e affermarsi in opera nel corso dei secoli, con pregiata consapevolezza storica e creaturale, e scandisce con musicale versificazione la propria visione, strutturandola con responsabilità ritmica e rara pacatezza lessicale.
Tali virtù paiono nascere, nel poeta, dal nitore di un discernimento: la localizzazione puntiforme di ogni individuo, l’esser trafitti, ognuno, da coordinate minime, transitorie. Eppure è una poesia senza amarezza, eppure è libera questa poesia, quasi un’impresa di vento di acqua / che accade, nella chiara misura del posarsi, senza proclami, volendo significare solo sé stessa.
Grippa ci consegna un’opera colta, diafana, filosoficamente agile; eccezione di eleganza e levità, nel panorama desolato e gremito dell’attuale.
È nel lasciarsi comprendere dalle immagini e dagli oggetti, nel lasciarsi pensare dai colori e dagli stessi pensieri che Grippa ascolta in immobilità perfetta, e trascende, divaricando in una passività luminosa che somiglia a un sostanziale e conciso, per nulla retorico, vuoto mistico.
Tale inermità è evidentemente visitata dal dono della parola, senza che emerga il peso dell’(inevitabile) addestrarsi. Seppure il poeta dichiari con onestà il proprio tirocinio: “la stessa precisa esecuzione con cui anche tu, come tuo figlio, a volte tenti il tuo verso”, egli esce dalle consuetudini del dire con gesto a tal punto franco e spigliato, disadorno ma raffinato, da apparire istintivo: benedetto nell’idea, dichiara il suo Trompe l’œil con esattezza accompagnata, con felice ed efficace espressione.
Saper dire in questo modo dell’intuizione precaria e del presagio, del silenzioso senso che emana dall’arte e dal creato, dell’andare dei giorni, dell’apparente sfiorire di ogni cosa nel suo rigenerarsi; dell’amore distratto e purissimo – azzurra tenerezza, celeste – degli angeli, del gorgogliare trasparente del pensiero; saper dire così di questo è frutto, sì, di lungo esercizio espressivo, e di cultura poetica variegata e profonda; ma ha anche un portato candido, misterioso che si chiama talento.
(I.B.)

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da Revisioni, Delta 3 Edizioni 2021

Toirano

Et si j’avais leurs yeux
[René Char]

Doni la tua pietà all’idea
che abbiano vissuto. Vita viva, resa. Traccia millenaria. Fiato
cosce gomiti carponi uno stupore di cristalli, svolte d’aria.
Pensi al loro corpo nudo, contro il tuo pudore; sedimento
e genitali. Li collochi all’interno di un terrore. Assegni a
quel terrore una postura di orso, eretta. Delle ossa il
nitore, la certezza. Non puoi sapere altro. Il tatto avverte
pietre, fango. Eri con tua madre con tuo padre,
ti addentravi. Si sono addentrati per sale d’acqua
carsica, asperità calcaree. Un transito non scritto, ora
impronunciabile. Hanno parlato? Cosa si dissero? Parole
coniate per un nuovo inizio. Da lì passarono, adesso voi
passate. Concedi la tua voce a questi segni che ripartono.
Da te. Dal buio del tuo corpo inevitabile, da un canto.

Stefano De Carli, Conflitti, Tecnica mista estroflessa, 2018


Monte d’Accoddi

and the mind the resourceful mind
[William Carlos Williams]

Del sasso preso dall’omphalos resta
un frammento. Lo guardi. La mente

conosce la pietra, il vento che la disfa; trattiene
in un lungo discorso lo spazio, il lichene che salda la
costa. Li mantiene. Li ricorda. Ritorna a quel volume
prossimo al mare, sospeso nella luce tra forma e
caduta. Al colore snervato dall’aria dal sale, lo afferma;
uno sguardo vivente che sosta sul corpo perduto,
battuto dal vento. Gli occhi socchiusi, la mente declina
al tempo presente la storia, nomina tutto,
fa che quel nome sia l’unico.
E tu che intanto scrivi niente

conosci più di questo sasso; avverti
la scrittura, insufficiente, farsi altro;

guardi la parola sasso, senti la tua voce
pronunciarla, fare della sola consonante

spaccature, un’impresa di vento di acqua
che accade. Sineddoche, silenzio, entrature.

Stefano De Carli, Vuoti nel presente, tecnica mista estroflessa, 2020

*

Trompe l’œil

Aria, non terra. Spazio del suono. Inspira, produci
col fiato questo uovo. E chiedi gli sia concesso di essere
eccentrico; forma aggravata del cerchio, tra le tue mani
così sulle labbra. Quanto sia fragile e come lo sappia essere
a lungo è un mistero che ammiri. Simulazione di pietra,
trompe-l’œil. Tempo creato, immesso nel mondo; mentre
nei sassi che afferri sfioriscono ere, qualcosa non si avvera,
si impastano sforzi terrestri, considerevoli ma assiderati.
Muta stagione. Una merla è chiamata a deporre. I tuoi
occhi ne scrutano il segno nel giorno: un fiammifero
spento di fronte al vetro assolato.

Stefano De Carli,Ricorda con chi hai pianto, Tecnica mista estroflessa, 2020

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vanitas:

di bulbo di gemma si schiude la mente; sapiente
che i tulipani recisi si affiancano a teschi e clessidre, che l’erba
nasconde esanimi draghi e lo sguardo di santi persi nel cerchio
del proprio spavento si affaccia su specchi come vedendosi
dentro una nicchia; dietro quel vetro si sfiorano mani, non
sfiorate dal vento.


i colori ci pensano, stancano gli occhi le fiamme dei fiori incolti,
la terra; vedere in un’ocra quello che altri hanno infranto nel
nero, vegliare la cenere, e ora in un brano di cielo l’azzurro
seguito fin dentro lo stormo, brunito la notte dentro mille
sogni, fissando lontano le ombre di alberi, pali, riguadagnare
la posizione di ieri, domani; finalmente guardando laggiù dove
non esistiamo


Georges de la Tour, Maddalena penitente, 1640 circa, olio su tela, 128 x 94 cm. Parigi, Musée du Louvre (particolare)

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Oggetti contro il buio

la notte che le cose ci nasconde
[Dante]

– La torcia elettrica.
Puntarla verso gli alberi. Per non tremare più, per
ritrovarvi intatti i rami, il pigolio che dalle fronde
buio sale, attonito, in quella scia di giorno.
(Que les oiseaux vous parlent désormais de notre vie.)

– Legna di rovere, di pino.
Disinnescare il bosco, nella luce del pomeriggio,
che arda quietamente nel camino.
(State guardando una madre che dorme in poltrona
in un qualsiasi dopopranzo invernale)

– La brocca colma d’acqua e fiori.
La sera che ne asperge odore e foglie.
L’uomo che la osserva.
(When we locked up the house at night,
We always locked the flowers outside)


Copia di opera non pervenuta di Caravaggio, Ritratto d’un Giovane con un Vaso di rose, collezione privata di Lugano (particolare)


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Gli angeli

Li ho dovuto fotografare in un catalogo. Sono troppo in alto.
[Antonella Anedda]

ci chiamano da lì, vegliando; se planano
nel sogno è il sonno di una terra
che fanno; non osano le tuniche,
non osano al frusciare,
non vedono che in chiari
sopralluoghi dal cobalto
verso misere sterrate.

E amano.
E noi siamo la scena, noi lo spazio aperto,
di scorcio la presenza
che batte con il piede;
ci sbirciano su tela
dandosi le spalle, miopi per eccesso
di fede. Ci vedono

a occhi chiusi, ed è così che non veniamo
compianti; ma raggiunti
dallo spirito. Esitano

e non esistono. Origine
ne siamo noi; e termine, discrimine.

Non vivono. Commettono le loro vite
in brani, in toni musicali, accesi di cromie;
sono la nudità infantile
che certi poveri pittori di provincia impiegano
immortalando i figli nei panni di immortali,
li puoi sentire in quel vociare, in quelle corse
sulle ghiaie

e calano cineree palme, fronde rigogliose
e mortuarie verso queste nostre braccia
tese aperte come incroci
di noi che suggeriamo loro

in una orazione, da questa stessa voce,
la sola mira presa nella nostra direzione.

Stefano De Carli, Angélique, Tecnica mista estroflessa, 2016


*

Lucinda’s Hand

Perché aggiunga alla tua idea di mano:

– Una mano di Dafne, aperta; prima del ramo. In
ricezione d’aria e spasmo. Boschiva, sottratta ai
regni del marmo.
Un dolore, forse uno stridere. Nitido lungo le
falangi erette; obelischi familiari, cipressi innevati.
– Il ricordo della mano di tua madre. Operosa,
puntata come uno stelo nella tenue energia
primaverile, senza sperpero. Il bianco il nero una
pietà di vitiligine.

Perché escluda dalla tua idea di mano:

– Convenevoli. Promesse anelli indicazioni.
– L’altra mano, speculare. Una calligrafia.
– Nel ricordo della mano di tua madre il cardo e il
decumano di una croce, che precisano nel foro del
torace l’asimmetria del cuore.

Robert Mapplethorpe, Lucinda’s Hand, 1985


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Fayyum

“Davanti all’immagine
– come davanti alla morte”
uno è solo,
molti è inutile

[Marco Giovenale]

I
Qualcuno, per affrontare la scomparsa. Traccia sopra il
legno. L’espressione adatta. Tu, dall’altro lato del tempo
sfogli il libro, cerchi foto al cellulare. Guardi aggrottare la
fronte. Non piangere. Raccogliere in un tremito le labbra.
L’altro movimento

è la rottura del paesaggio (immagini le auto ancora svelte,
nel commiato voci che sussurrano, una stanza). Del corpo
ti scopri pensare a profumi e odori; al loro disperdersi.
È ornamentale, adesso: può esserlo,
come un fiore.

La forma glabra, colta, risolta, di chi scompare.

Ritratti dal Fayyum, British Museum di Londra

*

Donna in azzurro che legge una lettera (1663)

dal vetro filtra il mattino; fuori la stanza
un giardino piccolo, non troppo curato, umido.

Accanto alla donna è appesa una carta, muta
come una ritirata. Intorno, il vuoto di due sedie,
il peso dei tomi socchiusi sul tavolo.

Di fronte a lei, ogni volta nuovo, tu
stai guardandola leggere, non alzare
lo sguardo, non rispondere.

Jan Vermeer, Donna in azzurro che legge una lettera, 1663


Scrivere

Ogni vocabolo contiene dentro sé
un tempo che non batte. È uno strumento

diurno, non segreto, sconsacrato;
potenziale tramite assemblaggio.

Il testo è nella storia. Ciò che vede
intorno a sé non lascia spazio
che al bianco; se c’è senso
è silenziosamente dentro

il flusso della mente, nei toni, nello sguardo…

Anche per oggi termini. Ciò che viene dopo
è uno spiazzo, il rifornimento, la strada verso casa.
Scrivere non è inevitabile.

Alessandro Grippa


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Alessandro Grippa (Treviglio, 1988) vive a Caravaggio, in provincia di Bergamo. Diplomato al biennio di Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Brera, nel 2009 è tra i fondatori di Caravaggio Contemporanea, collettivo di artisti e curatori. È inoltre vicepresidente dell’Associazione GSI Lombardia Onlus, per la quale dal 2010 collabora come volontario a progetti di cooperazione tra Italia e Africa occidentale. La sua raccolta d’esordio Opera in terra esce per La Gialla di Lietocolle-Pordenonelegge nel 2016); nel 2021 esce Revisioni (collana AECLANUM, a cura di Eleonora Rimolo) per Delta 3 Edizioni.