Il primo anno tagliavo bambù
E segnavo suoni con l’acqua,
E ritmi, solo in quella
Peste lenta, da solo sempre
Senza risposte come dopo,
Nel secondo anno, senza
Un dio che mi vedesse
Dalle rocce, le mie delicate
Rocce, gli strati dei mari
Con i segni di ammoniti morte.
Sotto la Torre di Gerusalemme.
Il Monte Sacro sta crollando
E le viti sono sterili
Come gli uomini al mondo.
Ogni giorno rido della paura,
Dei campi, venduti e bruciati,
Sotto il campanile, sotto
La Terra Santa di una vetta
Che è diseredata, vecchia.
Un uomo brucia le lettere votive,
Dice che è un atto sacro.
Un altro uomo ruba le pietre
Dal ceppo sull’ossario.
I monaci sono seduti, silenti
Da quattrocento anni.
Qualcuno talvolta fa cadere
Un fiammifero, così le orbite
Sembrano osservare un punto
In fondo al tumulo. Niente altro.

Fotografia di Marsel van Oosten

*

Gli anelli degli alberi
sono orbite di voci
da un’eterna infanzia,
quando ogni materia
entrava in me nuova,
creava il corpo dal suono
di chi ora è un’ombra.

*

Non una parola di calore,
Al risveglio la natura
Crolla alla radice nei corpi
In disfacimento, giù in fondo
Nella cintura di chiodi, qui
Ogni tempo è per il sogno
E si arriva al desiderio
Di essere altrove, dentro, vivi
E sospesi nel ritmo del sonno.
Che al risveglio sia ancora
Questo combattimento
Tra noi e il peso del corpo,
Noi e le vertebre trascorse,
Antenati come rocce risorte.

Fotografia di Marsel van Oosten


*

Tornare al ventre intatto
degli anelli a perdifiato
tagliati dal ferro, alberi
dall’assenza e l’orrida
di onde e volti sconosciuti,
sagome sempre vuote
senza risposte, domande
di un fiume in secca
da duecento giorni.
Così i teschi dei cavalli
e di colossi antichi vivono
come se di noi non fosse
che il desiderio
di vivere e restare lì:
tra gli anelli che soffiano,
negli alberi, a perdifiato.

*

Devo tenere il censimento
Degli alberi e loro
Ci crescono e respirano
La nostra polvere, niente
Rimane nei formicai, abissi
Di ali e chele ricamate
Su altre pietre, altre vite.

Fotografia di Marsel van Oosten

*

Sorto al battere del fiume
Come marcia o galera,
Sul tamburo nel diaframma
Di mio padre, giovane
Tra le secche e i vuoti
Dove piccoli vortici donano
I pesci dalle scaglie
Bianche, i metalli preziosi
E le voci delle lavandaie,
Statue tra gli ordigni morti
Di una guerra, la Sua nascita.

Enrico Barbieri è nato a Pavia nel 1976, ha studiato alla Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano e ha lavorato per anni in teatro a Milano, Roma e Londra. Ha insegnato teatro presso Centri di Recupero Dipendenze e per il CUT, il Centro Universitario Teatrale di Pavia. Regista di Woyzeck (Georg Büchner) nel 2005 e di Ci Chiamavano Banditi (Guido Petter) nel 2007 con gruppi di giovani attori. Come attore ha lavorato, tra gli altri, con Bucci, Andrée Ruth Shammah, Gabriele Vacis, Lorenzo Latini. Ha pubblicato Il tremore della terra (CFR Edizioni 2014), Terra incognita (Zona Contemporanea 2015), Provincia (Giuliano Ladolfi Editore 2015), L’attracco (Giuliano Ladolfi Editore 2016), Ore nell’utero della bassa (Il Seme Bianco 2017), Meno di una pietra di calcare (Delta 3 Edizioni 2021).