#1

Voglio ricordarmi dei nespoli in aprile
del loro dormire sottile il mio prato
e voglio il mio prato sentire ogni ramo
come fosse aldilà nel vento toccarli
e imparare il nome del legno.

Tutto ciò che voglio è stare svegliato
per il dono dell’aria avere una bocca
e parlare per mia radice parlare dell’aria
che ha eco dentro il respiro.

(Ma a dire il vero voglio soltanto nel mare
chiudere gli occhi e poi lentamente
più lentamente essere l’acqua).

Voglio che d’acqua sia il solo luogo
e le parole mie il vuoto del cielo.

Tutto questo lo voglio per gli altri.

#2

Ma la voce ha un’eco da imparare
il plasma solitario della notte
che ti fa notte per restare sveglio
in quella voce cede i suoi echi
perché tu non parli;

ma se imparare vuol dire la voce
e poi l’ombra del pianto di notte
asciuga presto l’ombra che stringi.
Se la stringi vuol dire che parli.

(Così l’eco a memoria d’ogni notte
è lo svegliarti parlando presente
e il plasma o la mente la voce rifonda).

Ma tu cedi al corpo al dirlo imparato
e come un’ombra parla del sangue.

Del sangue perso per fare pianto.


#3

Accade che l’occhio si spogli
e l’azzurro sia solo il suo buio.
Guarda come la terra muove nei fiumi
il pensiero di essere terra la luce
del sole il sole già grande.

Dopo la luce non accade più niente:
si mostra la terra uguale alla morte
tu la guardi con occhi rovesci
e il sole è l’azzurro lontano

(il lontano presente il buio tuo ora
se accadi per essere terra o pensare
come un fiume dopo si perda).

L’azzurro dell’occhio spoglia già grande
il pensiero rovescio uguale che scorre.

Guarda cosa perdi per la morte del sole.


#4

Cosa pensi la creazione della vista
è per luce che abbaglia le case
e l’estate è la porta del sole
dove pensi l’amore tuo sempre
creato solo per essere amato.

Perciò lungo il corpo di una stella
pensi alle lunghe corse celesti
sulle sponde dei venti tra gli aranci
ma era solo sabbia negli occhi.

(Così gli occhi pensano lo sguardo ricrea
il mare alle tue gambe quei volti
di giovani estati lasciate a bruciare).

È creazione di un amore per abisso
torna sempre dove sei stato.

Dove sei ancora mare che guarda.


#5

Non tocco nulla che sia solo un volto
se mi dico aspetta sia il vento a parlare
e il vento cambia parlando i ricordi
ora che un ramo mi dice la terra
perché è solo terra il segreto di stare.

È la bugia più lunga del mondo
se questo cielo mi guarda e tramonta
sul volto poi accade di nuovo
così guardo il tramonto chi tocca.

(Allora cos’è bugia la parola che il vento
nidifica in sé stesso e domani
sarà parola per un altro o silenzio?).

Non perdo nulla di tutto questo se ascolto
me stesso con la lingua del corpo.

In questo corpo che il volto è bugia.


Antonio Bux (Foggia, 1982) ha pubblicato, tra l’altro, Trilogia dello zero (Marco Saya 2012), Naturario (Di Felice 2016; finalista premio Viareggio), Sasso, carta e forbici (Avagliano 2018; premio Alfonso Malinconico) e il recente La diga ombra (Nottetempo 2020; finalista premio Speciale Camaiore, premio Umbertide XXV aprile). In spagnolo ha pubblicato 23 – fragmentos de alguien (Buenos Aires 2014), El hombre comido (Buenos Aires 2015), Saga familiar de un lobo estepario (Toledo 2018) e in vernacolo foggiano la silloge Lattèssanghe. Nel 2014 gli è stato conferito a Firenze il premio Iris. Come traduttore ha curato vari volumi, tra i quali Finestre su nessuna parte di Javier Vicedo Alós, Bernat Metge di Lucas Margarit e Contro la Spagna e altri poemi non d’amore di Leopoldo María Panero. Ha fondato e dirige il blog Disgrafie e alcune collane per le Marco Saya Edizioni e per l’editrice RPlibri.