Seri Editore 2024
Prefazione di Silvia Secco



Notte. Silenzio. Morte. Nome.
Sono queste le parole da mandare a memoria fra quelle che compongono la poesia di Jón Kalman Stefánsson, poeta e narratore islandese, poste in esergo a La prima notte al mondo di Luigi Finucci.

Notte. Silenzio. Morte. Nome.
E viene da chiedersi quale sia questa prima notte; se la prima del mondo, la primordiale, nell’insondabile e inconcepibile spazio e tempo dell’universo, oppure la prima al mondo in quanto viventi, umanissima venuta o sparizione: infinitamente minima. Forse in questa oscillazione, in questo dubitare, si compie il mistero che contiene questo libro. Oppure il mistero è qualcos’altro che viene pronunciato: la quarta delle parole, il Verbo Nascere, nato: “È nato un bambino sulla terra, / tutti hanno descritto/ l’evento come consueto. // Un essere piccolo scaraventato/ su un globo sparso in un/ indefinito spazio nero:/ una catastrofe vista da fuori/ diventa un miracolo”.
Dalla prima fino all’ultima delle quattro sezioni, Luigi Finucci disegna un tracciato circolare, una sorta di perimetro che possiamo definire casa, luogo contenitore nel quale sostare: cerchio, orbita, igloo protettivo nell’estremità feroce degli elementi cosmici al cospetto dei quali l’individuo si viene a trovare. Sulla linea di questo tracciato, che conduce dall’ infinitamente grande (infinitamente oscuro) spazio siderale fino alla puntura bianca di spillo della nascita, rappresentata dalla bellissima metafora nel Polo – abbaglio, chiarore di gelo e di neve, apice massimo e insuperabile di origine (e, proprio per questo, principio incontrovertibile di fine) – ciò che il poeta ci permette di incontrare è la sospensione nella visione. Il soggetto è lo stesso scrivente: sempre. Gli occhi che vedono, però, non sono due soltanto: ad essi si va sovrapponendo uno sguardo altro, proprio di chiunque si accosti alla lettura e partecipi perciò al quadro osservato e descritto: “Si compie la visione. / Sono all’interno/ dell’intestino della terra, / non posso fare a meno/ di essere in pace con/ la mia interpretazione”.
[…] All’interno dell’area che rappresenta il reale tangibile di luogo precipuo, odoroso e palpabile, percepibile fisicamente attraverso ognuno degli organi sensoriali, l’individuo si accosta nel proprio essere vivo, al punto mediano d’esperienza fra le due estremità del nascere e del morire, e osserva da partecipante contemplatore a tutto ciò che esiste.
[…] Il gesto creativo è l’atto distruttore che annienta la distanza immisurabile fra le estremità dei Poli di inizio e di termine. Porta allo stato solido l’area liquida all’interno del cerchio, fa ghiaccio abitabile il magma alla fine del mondo, tanto che pare possibile costruirci una casa di neve dura (la più resistente) oppure piazzarci una tenda, imparare dai padri a sentire di vivere nel tempo.
Dopo, oltre il tempo, nella prodigiosa e continua trasformazione per la quale, a differenza della morte umana, il declino stellare nomina precisamente la propria straordinaria esplosione divoratrice, forse anche chi, venuto al mondo, lo lascerà, non avrà più bisogno di alcuna certezza, di alcun luogo di stabile appoggio. Forse nella congiunzione della linea del cerchio, al punto di fermo che nuovamente origina, anche la lingua troverà la pace del suo scioglimento, tra le visioni. Dopo, come sempre, certamente molte cose mancheranno: “Tutto mancherà. / Anche le cose invisibili”.

*

Da La prima notte al mondo (Seri 2024)

L’universo è solitudine
come la sorte umana.
L’espandersi è una pretesa
vacua: la linea procede
lenta. Le connessioni
si dilatano, le galassie
o meglio le relazioni
chiedono asilo. Nel mezzo
un buio insondabile.

Sembra quasi che le distanze
abbiano avuto inizio nel giorno
in cui gli occhi si siano chiusi,
disobbedendo all’instancabile
forza della luce.


Peder Balke, Capo Nord


*

dal Cile

Sulle pendici della cordigliera
c’è una strada invisibile
per lo spazio. Furono
scoperte nel deserto
di Atacama delle stelle
vivide, lumi accecanti.
Il più grande telescopio
del mondo mise alla luce
alcuni segreti: pioggia.

Disteso tra i cardi asinini
intravidi delle finestre
sul cosmo. Il mistero aprì
al luccichio della notte:
gli astri cadevano a stormi.
Le radici avevano nostalgia
dei primi fulgori.

*

Mi sederò un giorno
ad ingraziare il cielo.
La preghiera avrà
un significato simile
a delle storie antiche.
Avrò i capelli lunghi,
e un ritardo doveroso
nel pronunciare
le ultime parole.

Un luogo meraviglioso
dove morire, con pietre
ed alberi grevi, disposti
in cerchio: l’aria sottile
e tre lune ad acquietare
tutti i mari immaginati.

*

In un punto di densità infinita
un giorno, si formerà un buco nero.
Un orizzonte di eventi
così tangibile da avere
la sola capacità di attrarre a sé.
Sarà una solitudine incessabile
non conoscendo il gesto
del dono: nessun segnale
uscirà dal suo interno.

Solo viscere strazianti.

*

E se un giorno, trovassimo
un pianeta abitabile
la gentilezza sarebbe l’unica
cosa per dismettere la solitudine.

Applicare una carezza
alle forme di rinascita
sconosciute.


Peder Balke, Da Finnmarks



*

La gente muore di notte.
È sporco di sangue, non rimane
che nascondersi sotto dei massi.
Si soffre nel totale silenzio.

Non lo senti l’esodo che si ripete?

I piedi sono riuniti.
Le mani sono giunte.
Siamo allo stremo,
e nessuno se n’è accorto.

*

Ho dimenticato il male
al confine, le croci
gli apostoli traditori
i martiri obliterati.
Ho dimenticato
la sete, il giuramento
dell’acqua. Quello sì
che lo metterai
sul mio conto.

Scusa, mi sono adagiato
così lontano da non vedere
la tua morte.


Peder Balke, Fortezza di Vardohus


*

C’è una disciplina del niente
porta le sue ali alla comprensione
di qualcosa. Lì, si percepiscono
le foglie, i fiumi, forse il suono.
Quel niente è scritto nel Dna
come il verbo che si fa carne
la stanza ha gli angoli chiari
le credenze vuote, il cielo grigio
e le madri rassettano i vuoti
nell’ordine giusto.

*

È tutto casuale. Il momento in cui
mi siedo a terra, l’attimo che alzo
gli occhi al cielo. Gli uccelli fanno
dei cerchi. Come le mani di un bambino
impongono alla matita di fare linee
senza senso. Così sono le traiettorie del cielo.
Continua per ore, il volo degli uccelli
ad intrattenermi. Lo scomodo
dei sassi sul cranio: si instaura
così una dimensione altra che
mi rimette al mio posto. Al pari
di un rumore d’onda.

*

Quando muore un figlio,
non si è più soli. Un coltello
piantato nel fianco. Nessuno
che sappia il nome. Un giorno
il dolore diventerà troppo grande,
la caduta inevitabile.

Lì,
si cambia e si smette
di dare risposte.
Le lacrime vengono inghiottite,
entrano nel corpo:
il cammino è un uccello
a cui non è stato insegnato
a muovere le ali.

*

La fine è vicina, tangibile.
Conto le sigarette ogni volta
rendendo i polmoni più adatti
alla morte.

La sedia è un cratere,
ascolto la neve cadere: si scioglie
sulle mie scarpe;
lo stesso cielo terso appare
così rischiarato. Lo sto lasciando
ad altri occhi.

È tutto meraviglioso
il vociare
la cadenza dei camminanti
il profumo dell’erba
le vertebre stanche. A tratti
il silenzio.

Tutto mancherà.
Anche le cose invisibili.




*

Gli schermi raccontano
che ai Poli la terra finisce.
Serve molta pazienza
per non arrabbiarsi.
Nella lontananza inizia
il legame con le nuvole.
Tutti scappano da sé stessi.

Se non fosse che il lago
dà una prospettiva diversa
avrei creduto di essere
alla fine del mondo.
Così ho deciso all’istante
di frantumare lo spazio
tra me e il cielo.

*

Tutte le poesie del mondo portano qui.

All’origine c’è un bianco accecante
le parole servono a poco.
C’è uno sfondo bellissimo
fatto di occhi celesti. Un uomo
costruisce la sua dimora
e se ne prende cura.
Chiamatela se volete,
guarigione.

*

Luigi Finucci (Fermo 1984) in poesia ha pubblicato: Le prime volte non c’era stanchezza (Eretica 2016) e Il Canto dell’Attesa ((Ladolfi 2018). È presente con suoi testi in vari siti, tra cui «Atelier», «Poesia del nostro tempo», «L’Estroverso», «Margutte», «AlmaPoesia», «Poetarum Silva», «Poeti del Parco», «NiedernGasse», «Poesia Ultracontemporanea», «larosainpiu», «Inverso – Giornale di Poesia» e «L’altrove – Appunti di poesia». È stato vincitore della XXV edizione del concorso Poesia di Strada. Collabora con riviste online e alcune sue poesie sono state tradotte in diverse lingue, tra cui il rumeno e lo spagnolo.
Ha pubblicato tre libri per bambini, in rima, per la Giaconi Editore: L’aspirante Astronauta (2015), Il paese degli Artigiani (2018), Il Mondo di Sotto (2021); con Federico Buratti, ha pubblicato l’albo illustrato poetico: Cammino. Sulle orme di San Francesco (Giaconi 2022).