Vallecchi Firenze 2023

Collana Vallecchi Poesia, a cura di Isabella Leardini


Alcuni appunti dalle riflessioni di Silvia Bre e Antonella Anedda1

Assumere posizione univoca nei tre piani dello spazio: dinamicamente immobile, intimamente sintonica con i flussi vibratori del cosmo; per non smagliarne il reticolo, per accordarsi in percezione sottile. Poi, fedeli, restituire: in immagini via via più compiute, ma sempre in divenire, cui si giunge, senza terminare mai, saltando di visione in visione, con un percorso non riproducibile, né analizzabile; come riferisce Osip Mandel’štam nel Discorso su Dante, a proposito del poeta che guada le acque della possibilità, “attraversando da una riva all’altra un fiume ingombro d’instabili giunche cinesi variamente orientate”; in modo che “non si può ricostruire l’itinerario interrogando i battellieri, i quali non sapranno dirci come e perché siamo saltati da una giunca all’altra”. La distanza tra le due rive è coperta dal poeta in maniera arcana, mutevole, e l’intuizione cerca compiuta espressione orbitando in traiettorie via via più vicine a un’imprendibile perfezione, che fugge e trae a sé chi scrive in una tensione lirica continua, irrevocabile. È così che Silvia Bre descrive la presenza poetica di Daniela Attanasio: un intendere immobile, inerte e pur acceso, nell’equilibrio pieno di tutti i vettori. Come accade al corpo in meditazione: quando l’orientamento tridimensionale del capo, del tronco, delle membra nello spazio, diviene identità piena e intima partecipazione all’esistente, e il concerto del creato vibra e riverbera nella propria essenza, allibita di pace. E, avanti a sé, quel grande altare del nulla che è il silenzio del bianco: perentorio candore d’assoluto che, tacendo, freme di proteiforme complessità, e a tratti verticalizza in fulminea, ideativa epìtome.

E ancora sostenere a palpebre aperte (“ho tenuto gli occhi aperti senza sbattere le palpebre / – sono stata eroica nella mia fissità –”), ricorda Antonella Anedda riguardo l’essere poeticamente nel mondo di Daniela Attanasio, dilatati alla percezione di un reale talora penoso e amaro, dove la natura è ritmicamente vessata dalla storia. Eppure: accogliere profondamente anche il patito, l’ostile, il sinistro, lasciandosi condurre dai propri sensi interiori nel pronunciare, sottovoce, ciò che si muove.
Di nuovo Mandel’štam, sul discorso poetico, rivendica una “sonorità” non puramente acustica, ma piuttosto figlia di “un’interferenza” tra due “linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta, mentre l’altra, senza il sostegno del movimento delle immagini è priva di ogni significazione e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo […] dell’assenza di poesia”.
Qualsiasi poiesis, pur fondante, è labile, e costituzionalmente disancorata: renitente ad atteggiamenti analitici, a schemi esegetici precostituiti: libertà condivisa da poeta e lettore, avvinti a forme e figure che scuotono dai tetri baricentri delle certezze, e destano a prospettive inedite: in cui l’infinitesimo può venire in primo piano, e l’immane scomparire in improvvisi varchi di dispersione.
Contro l’orrore degli automatismi intellettuali, delle brutalità della cronaca, di ogni spavento all’uscio, resiste una sovranità dello spirito che sceglie dimora nella bellezza, e ai pilastri della disperazione risponde con il libero volo.

“Quando leggiamo un libro e facciamo le orecchie alle pagine, il libro ci ascolta” dice Antonella Anedda: la vera poesia non chiede nulla per sé, ma elegge un flusso, un passaggio del sentire da una creatura all’altra, distillando squisitezze per l’anima anche dai patimenti; e mentre il reticolo spaziotemporale sbiadisce, e si aprono gli angoli delle intransigenze, ogni struttura mentale dischiude e s’inarca: l’intelletto è sedotto a universi sincronici e sinestesici dove puntiforme e interminato si riversano continuamente l’uno nell’altro, creando fecondo spaesamento e profonda intuizione.
Una musicalità sommersa, sapiente, fatta di assonanze e ampiezze, palpiti scanditi quasi in levare; equità del ricordo che sfuma in presagio, di leopardiana vaghezza e minuzioso accorgersi; vita rivisitata nei sensi della luce; voce garbata, di lineare onestà, intrisa di tenerezza: come nei territori soffusi di penombra, ancora proni allo stupore, che la poetessa traccia in memoria dell’amica Amelia Rosselli.
Già da principio, ancor prima che scrittura, il gesto interminabile era del sentire, attenzione spirituale e creativa all’esistente, come un dissolversi nella Cura delle cose (Empirìa 1994): “O questa libertà di vivere sopra / la morte e l’infelicità, questa vogliosa / aura attorno al noto sopra le ingombre car / reggiate a mezza strada tra chi si perde / e chi soltanto aspira, tutto come se fosse / scritto a vuoto”.
La poesia, in Daniela Attanasio, è questo smarrirsi per salire: sfumare i contorni delle figure, ravvivandone l’altezza, il chiarore: un disancorare dolcissimo, che ci fa vivi al mondo.

*

da Daniela Attanasio, Vivi al mondo (Vallecchi Firenze 2023)


non so niente di campagna e agricoltura
non so cosa vanno a cercare le mani nella terra
quanto vale il tempo di una giornata
come scorre la vita nelle ore delle stagioni
ma c’è una cosa che mi sgomenta: l’ultimo sguardo della sera
quando il trattore torna nella rimessa
vanga e motozappa sono sotto la tettoia
ogni cosa in ordine al suo posto
e l’ultimo gradino che in silenzio qualcuno sale
prima di spingere la porta e accendere la luce

Pierre Bonnard, Sala da pranzo sul giardino, 1934-35


*

in cucina c’è un orologio che batte le ore con il canto degli uccelli
a ogni ora sulle strade nei palazzi negli ospedali
c’è chi muore e chi malato di cuore non vuole morire
chi si sente soffocare o chi cammina al buio da solo cercando il silenzio
c’è qualcuno che si nasconde in una parte lontana del mondo

– odiando il mondo

chi viaggia volendo scomparire e chi
osservando di sbieco nello specchio la sua scheletrica silhouette
di nascosto si mette a pregare


Pierre Bonnard, Nudo in un interno, particolare


*

era primavera nella casa entrò il sole
la finestra venne aperta
comparvero i colori del prato disteso in una
vallata di papaveri e malva

all’improvviso il rumore della pioggia impose il silenzio
e da quella casa uscirono le nostre voci simili al
richiamo degli uccelli quando volano sulle
teste autunnali dei giardini verso paesi più caldi
verso nuove frontiere –
pensai che quell’allontanarsi di uccelli e voci
fosse la ceralacca apposta sulle carte dei nostri viaggi
sulla contiguità fra nord e sud fra cielo e terra
o forse soltanto un modo di essere vivi al mondo

*

– il bianco del lenzuolo sul bagnasciuga ricopre il corpo dell’annegato –
io so quanto fa male il mare quando diventa silenzio
quando le orecchie sporche di sale non lo fanno sentire
agli occhi appare come un immenso mantello azzurro
di disegno rinascimentale
sta sulla scena con l’energia del corpo ma sotto – nella sua
tomba naturale – lui infuria solido luminescente

quando l’acqua in superficie è tenera e liscia
lui mente

Pierre Bonnard, La spiaggia


*

respira odore e aria
arrampica per soffocare
se alla fine con l’infelicità che non ti fa dormire
cercassi la vita in un vecchio ricordo
pensa all’infinita distesa d’erba dove ti rotolavi bambina
graffiando sulla terra le ginocchia
alla fontana col muso della lupa che apriva il getto
a un tesoro d’acqua
ritorna alla tua ansia di capire quando bruciavi il respiro
nella corsa coi maschi

tutto questo si è spento ma già allora sapevi che l’avresti riacceso
gettando luce dalla tua lampada
sulle ombre accecate dal tempo

Pierre Bonnard, Cerve nel sottobosco, 1900


*

oggi vorrei che tu rintracciassi le mie orme
per custodire la parte giusta del cuore
dove il sangue è rosso e la morte dorme

*

[…]

non morirà la creazione umana
la poesia sarà ancora e per sempre un
diffusore di fatti quotidiani dove la spinta della parola
conta più della ragione dove le pulsazioni del cuore
sono colpi di martello quando il fiato si fa corto per
la paura di non riuscire a dire il verso esatto che vada incontro all’amore –
amore per la terra per il mare per la natura astratta del cielo
amore che riscalda il corpo nella neve –

amore come pane
come le nostre parole lasciate a lievitare
in un’anta del corpo per un’altra stagione
un’altra sponda di vita dove sostare

Pierre Bonnard, Scrittura di donna


*

per mesi non ho più scritto
ho guardato il paesaggio dalle colline intorno a San Casciano
seguito il volo in bianco e nero delle gazze
il traffico di macchine sulla statale che porta all’autostrada
gli alberi da frutto gli ulivi vicini al casale
ho tenuto gli occhi aperti senza sbattere le palpebre
– sono stata eroica nella mia fissità –
anche se l’autostrada scorreva con un rumore d’acciaio
e le colline si coprivano di nebbia commemorando il passato
imitando il silenzio della fine

*

si può dire che la poesia scorra ripida come l’acqua
quando scende a pioggia o si chiude a getto in una pozza –
si può dire che rispecchi un taglio di luce anche quando i colori si sciolgono
che sia una rotazione dei sensi intorno al perno dell’intelligenza
una contraffazione dell’amore osservato dagli occhi di Narciso
ma la sua mirabile stravaganza è negli strappi della forma
nella solitudine della nascita

Pierre Bonnard, Nudo nella vasca da bagno, 1936


*

rispondo alle domande senza pensare troppo
indico il colore pavone di un petalo
aggiungo che nel corpo pulsa come una ferita sanguinante
ma se vuoi farla avvicinare – dico al mio interlocutore –
devi chiamarla con un filo di voce
lei salta gli appuntamenti spezza le linee
dicono che la sua forma sia divina ma s’interessa della terra
è autorevole quanto basta e quando parla sa dare senso al nulla
– ho continuato mentendo –
qualche volta però l’ho vista sbandare
catturata da un artificio resa umana dall’amore

Pierre Bonnard, Il giardino sotto la neve al tramonto, 1910 ca


*

lei c’è sempre stata
acciambellata in un angolo buio della casa

*

Il cuore che non registra le emozioni ha una brutta fama e tende a seccare. Un organo poco irrigato combina guai

*

Daniela Attanasio ha pubblicato per l’editrice Empirìa i libri di poesia La cura delle cose 1994, Sotto il sole 1999 (Premio Dario Bellezza, Premio Unione Lettori Italiani), Del mio e dell’altrui amore 2005 (Premio Camaiore). Il breve poema sull’amore contenuto nel libro è stato musicato nel 2004 e rappresentato in alcune manifestazioni teatrali.
Le tre successive raccolte sono state pubblicate con l’editrice Nino Aragno: Il ritorno all’isola 2010 (Premio Sandro Penna), Di questo mondo 2013 (Premio della Giuria Viareggio-Rèpaci), Vicino e visibile 2017. Ha tradotto Love Poems di Anne Sexton per il volume antologico La doppia immagine (Editore Sciascia) e per la rivista Galleria ha curato un numero antologico su Amelia Rosselli.
Come critica ha collaborato per alcuni anni con la rivista letteraria Leggere (Editrice Archinto, Milano) e con il quotidiano Il Manifesto. Sue poesie sono presenti in numerose antologie fra cui Poesia italiana 1970/2000, Garzanti, Nuovi poeti italiani 6, Einaudi


  1. Le riflessioni qui da me inadeguatamente riportate sono state condivise durante l’incontro tenutosi lunedì 22 gennaio 2024 presso la Società Dante Alighieri, Comitato di Roma. La presentazione è stata introdotta da Michele Canonica e moderata da Maria Ida Gaeta ↩︎