Edizioni Ensemble 2023

Prefazione di Augusto Pivanti


Dalla prefazione:

“Bisogna scrivere senza un perché”.
È la domanda primigenia di chiunque si spinga a condividere con responsabilità la propria parola a un lettore terzo: chi scrive deve sapere che i significati della propria opera non sono interamente svelati e immediatamente disponibili, e che vi sarà chi – leggendo – aggiungerà alla parola originale un’interpretazione fino ad allora indisponibile e sconosciuta.
Raramente si attribuisce a questa condizione un valore di generosità, essendo più portati a ritenere che un autore pubblichi per soddisfare la propria vanità: in Rosa si coglie invece la dimensione del dono, questo suo scrivere per sé ma anche per gli altri, dall’invito alla dimensione orante: “Bisogna che io impari a vivere / di nuovo, svolgendo avvolgendo / la fascia bianca della preghiera la nostra Madre eterna // per rimanere come un’età che / non ha nome: umana fra le umane / debolezze, e pur vivente di Maria / soltanto e solo in lei bambina”, alla nostalgia vissuta come elemento rassicurante e benevolente del ritrovare e del ritrovarsi: “una / foto in cornice misura del tempo / ambiguità e confini, […] dove i colori virano, punto per punto, / allegri come bambini ancora svegli / allo scoccare della mezzanotte”, ma anche come affannata confessione dell’io che si bilancia fra accoramento elegiaco e pacata riflessività.

[…] “Con la leggerezza di peso della neve”.
La neve, come elemento di natura e metafora, ricorre ben ventinove volte nei testi di In questo mondo e accanto, confermando la delicatezza e la grazia nel dire dell’autrice, la levità della parola come elemento fondante del proprio modo d’essere, una sorta di gentilezza che rimanda alle scritture rinascimentali e agli incontri nei “Giardini dei Semplici” (non sembri casuale o banale l’incrocio con il nome “Salvia”).

[…] “E il sale d’ombra che increspa / l’infinita pazienza della luce”.
Al pari della neve, la luce è tra i protagonisti assoluti della silloge: essa non è solo “paziente”, ma – nelle ricorrenze testuali – è alternativamente “errante nella bellezza” (nel richiamo incipitario di María Zambrano), “cangiante”, “scheggia”, “deriva”, “guizzo”, “tono”, “trabocco”, “proveniente dalle stelle”, “fluente”, “avanzante”, “né bianca né grigia”. Ma è soprattutto “controluce” che si svela la sua natura, come dichiara Yves Bonnefoy nel suo saggio Poesia e fotografia, quando sostiene che “la poesia ha il compito di dispiegare il visibile (l’immagine, in tutte le sue declinazioni) alla luce della parola, avvicinandosi al respiro delle cose, al loro mostrarsi nella nudità, facendo dialogare – senza mediazioni – ombra e luce. Un’ombra che, senza luce, non esisterebbe”.

[…] In questo mondo e accanto è una dichiarazione amorosa di Rosa Salvia al privilegio della scrittura, al dono vissuto nella sua trasmissibilità a chi potrà giovarsi – nella lettura – di un minimo breviario da recitare ogni giorno, tra i disagi della realtà e la sensazione che tutto è sogno, come nell’appassionata poesia d’esordio a quest’opera, meritoriamente senza tempo.

*

Da: In questo mondo e accanto (Ensemble 2023)

In questo mondo e accanto
un ronzio incerto, ineguale,
offerto in dono dalla cenere –
la sensazione che tutto è sogno,
mentre lo sguardo si abitua alla notte –
gravita all’interno –
nel crepuscolo dei fiori, dei frutti,
si abbandona –
Come sa fare la farfalla bianca.


Marc Chagall, Adam et Eve chassés du paradis, 1961


*

Il centro ora parte da me –
in quell’esatto bruciare
imparare che tutto è sentire
con l’albero, la pietra,
il grido, le parole, il primo sogno,
il tu, il noi,
e persino la morte.

Il mio centro è fatto di tronchi,
li ho tagliati io stessa
e sistemati uno sull’altro
dove tutto è in evidenza sulla neve,
in un garbuglio sospeso
tra dolore e grazia.

Il mio centro disegna i suoi nodi di presenza
sempre uguale a sé stesso e uguale mai
con il suo amore accattone, disperato,
sacro come lo strillo di un bambino.

Marc Chagall, Le cirque bleu, 1950-52


*

Sempre una ferita ricorda la vita
e ogni nascita proviene dal suo antro,
si frantuma nel mio scrivere,
compagno di ogni mio sentiero,
asta d’appoggio del mio sguardo,
con numeri e simboli che mutano
come mutano gli specchi, fra cripte,
schegge di luce e migrazioni d’uccelli,
fino a che il mio nodo di marmo si
sciolga, non con uno strappo, ma con
un silenzio, come a settembre le cicale
si quietano, fra arsure che vanno
allentandosi e la luce stessa ricade,
rotta dal proprio peso.

Chagall, La danza, 1950


*

Anche nel rifugio dei miei spigoli
la tua voce mi raggiunge sempre,
la mia ansia placando, con i modi
invisibili del cuore, lontano dal gioco
delle parti. Che entrino sempre in noi
la notte e il giorno, l’odore della neve,
il caldo dell’aurora, qualcosa di
preciso, fatto d’acciaio o d’altro, che
abbia azzurre luci – come se
esistessimo.

Marc Chagall, Artist at Easel, 1965


*

Bisogna scrivere senza un perché,
con la leggerezza di peso della neve
e il sale d’ombra che increspa
l’infinita pazienza della luce.

*

Da uno sguardo cangiante
tentare di continuare
il proprio tempo,
al di qua dell’orizzonte,
verso il tu che ti aspetta –

e scambiare un granello di sabbia
per un seme di pienezza,
contro finestre sorde
che non odono il sangue
sgorgare dal buio.

Marc Chagall, Les fleurs saccagés, 1956


*

Anche noi vaghiamo
nell’aria
persi nel caos dei movimenti –

orizzonte senza vista
ci sorvola la parola dei morti.

A guizzi la creazione vuole dire
e tace,
la destinazione diserta nel suo contrario –

Dio l’unico pensiero,
così forte a saperlo vedere nello sguardo
delle bestie che vivono nell’attimo,
ignare del tempo, attente al fuoco.

Marc Chagall, Moi et le village, 1911


*

La verità sta in una finestra
che si apre sulle cose lasciate
imbrunire, nell’ultimo raggio
di sole che cattura un campanile,
in una foglia screpolata che si
stacca da un albero e piroetta
sulle compagini sfinite di tante
pietre, in un ritaglio d’acqua che
ristagna dove finisce in piombo
ogni parola, in un lutto d’innocenza
chiusa, in cui si rompono canzoni
e miti, nelle stelle che scintillano,
una dopo l’altra, fisse, come i volti
dimenticati dei morti.

Marc Chagall, Le Cantique des Cantiques III, 1960


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Rosa Salvia vive a Roma dal 1986. Ha pubblicato: Intermittenze (Aletti 2003), Luce e polvere (Aletti 2005), Le parole del mare (Lietocolle 2007, Premio Cinque terre), Mi sta a cuore la trasparenza dell’aria (La vita felice 2012), Dolore dei Sassi (puntoacapo 2015), Il giardino dell’attesa (Samuele 2017, Premio Massa San Domenichino), Tempo innocente (Lietocolle 2019, Premio Luciana Notari 2020), Quella strana assenza di gravità (Giuliano Ladolfi Editore 2021, Premio Arti Letterarie Metropoli di Torino 2021, Premio Sergio Corazzini 2022, indetto dall’Accademia Internazionale Il Convivio). La presente raccolta, In questo mondo e accanto, è stata segnalata al Premio Europa in versi 2022. Sue poesie edite e inedite nonché racconti e recensioni a testi di poeti contemporanei sono stati pubblicati in diverse antologie e riviste letterarie on line quali “La poesia e lo spirito”, “Succedeoggi” o cartacee quali “L’immaginazione” e “Poesia”.