Una sfavola

Editrice ZONA 2022, collana rossocorpolingua di Cetta Petrollo

con una nota critica di Mia Lecomte

Traduzione in greco di Giorgia (Gina) Karvunaki



Incerto è il passato, forse più dell’avvenire, e fittizi sono molti arrivi e partenze, a declinare esistenze incomprese, “sfavole” in perenne mutazione. In questo nebuloso vorticare, autentici ritorni non sono dati, e paiono instabili persino i luoghi dell’infanzia: circostanze fraintese, sognate, che approdano a eventi e stati d’animo altrettanto vaghi e malfermi. Alle spalle, l’unico punto saldo è la nascita che, per ognuno, si colloca nel profilo di una madre: lucente o piagata matrice, mano che dà forma e abbozza l’esordio, la parabola del primo volo.
Massimiliano Damaggio, poeta nativo, di deliziosa e ritrosa malinconia, nel suo ultimo lavoro (Io scrivo nella tua lingua, Editrice ZONA 2022) con coraggio ripercorre i propri sguardi bambini, e maneggia dolori chiassosi e “dilaganti”, dal “fondale” di spavento muto, estraendone pagliuzze di straziato bene.
Arduo lo stare accanto, quando si è piccoli, a ciò che inverte la cura. Azione immensa del durare, senza poter muovere chi soffre alla luce, ma scendendo nel suo buio, spezzando in due la propria ingenua pace, come pane.
Damaggio sa che il dolore più spaventoso è quello dell’altro, su cui non c’è possibilità di azione, perché la sorte di chi amiamo è precaria in senso etimologico, per prece: tellurica e irresoluta, aleatoria, e soggetta a revoche da parte di Chi la concede. Illudersi di mutare forzatamente le cose è come tentare di aver nuova musica incidendo altro nome su un vinile, che poi non suonerà più.
La scrittura tuttavia, se arresa al declivio, può farsi gesto apotropaico, che storna il male ed evoca il sé bambino, e le anime care scomparse in una dimensione rinnovata: soglia di silenzio, dove si è raggiunti dall’intuizione meditativa del kairós, in cui è concessa, se pur sbiadita, una figura volta di spalle, ritratta nel suo andar via.
Damaggio è, da sempre, autore responsabile nel senso più alto del termine: latore di avvertimento, che maneggia con rara abilità ritmo e immagine, lessico e allegoria per riferire, allertare; per farsi solidale, risvegliare: di come sappia dire con dettato essenziale e severo, nitidissimo l’iniquità di questi tempi foschi, in cui dormienti nell’immaginazione e feriti da falsi dèi vessiamo e siamo vessati, si è già detto altrove.
Qui, nella sua dimensione più autentica e originaria, nella “sua lingua” del ricordo e dell’affetto, Massimiliano percorre la via personale e concede brevi aperture d’intimità, ma rimane nella misura: qui l’abilità di fare enunciato flessibile, afflato corale, nella grazia di un canto che svola e si posa, una volta compiuta la sua opera evocativa, come l’immagine “abolita, desiderata” di Brenet: strumento transitorio e privatissimo, potente simulacro dell’intelletto d’amore, il senso stesso del fare poesia.

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Da Massimiliano Damaggio, Io scrivo nella tua lingua, Editrice ZONA 2022

I polaroid

mi guardi dalla fotografia
ma io non so scrivere nella tua lingua
di cosa si chiamava bambino
ed era viaggio di vento, irruzione
nel nuovo giorno, al calendario
scandalo

incontrarti oggi in uno specchio di carta
mi ha fatto tremare le mani
perché ti ostini ad accompagnarmi di nascosto
all’uscita di ogni galleria

quando insieme per la sorpresa ridiamo
di fronte a un’improvvisa voragine di luce

*

α’ πολαρόιντ

με κοιτάς απ’ τη φωτογραφία
μα εγώ δεν ξέρω να γράφω στη γλώσσα σου
αυτό που το ‘λεγαν παιδί
κι ήταν ταξίδι ανέμου, εισβολή
στη νέα μέρα, στο ημερολόγιο
σκάνδαλο

η συνάντησή μας σήμερα σ’ αυτό τον χάρτινο καθρέφτη
έκανε τα χέρια μου να τρέμουν
γιατί επιμένεις να με συνοδεύεις κρυφά
στην έξοδο κάθε σήραγγας

όταν μαζί έκπληκτοι γελάμε
μπροστά σε ένα ξαφνικό βάραθρο φωτός

Fotografia di Pierre Fredd

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II durante il naufragio

di tutto questo naufragio si salva forse un bambino
che seduto sul pallone
nelle pozze dell’asfalto
vede riflesso il cielo come un canto

se potessi gli direi guarda che sei ancora in tempo
saltala quest’acqua
ora che è solo una linea

girati, e guardala mentre s’ingrossa
l’onda alta delle nubi sui palazzi
e come mi chiude gli occhi, adesso
e come sfuma la risata
di te che corri, e della
polvere

*

β’ όσο ναυαγούσαμε

από όλο αυτό το ναυάγιο ίσως σωθεί ένα παιδί
που καθισμένο στη μπάλα
στις λακκούβες της ασφάλτου
βλέπει ένα τραγούδι, αντικατοπτρισμό του ουρανού

αν μπορούσα θα του έλεγα κοίτα, προλαβαίνεις
πήδα απάνω απ’ αυτό το νερό
τώρα που είναι μόνο μια γραμμή

γύρνα, και δες το ενώ μεγαλώνει
το ψηλό κύμα των νεφών πάνω από τα κτίρια
πώς κάνει τώρα τα μάτια μου να κλείνουν
πώς κάνει να σβήσει το γέλιο
το δικό σου, ενώ τρέχεις
και της σκόνης

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ogni volta che ritorno
ti avvolgo in uno spargimento di silenzio

e guardo il vento attraversarti, come un fiume
caduto fra i disegni delle urla nella pelle

così ci teniamo nel vuoto
dove le pareti quando crollano
non fanno alcun rumore

e il guscio vuoto dell’insetto
la città sommersa
abitiamo

*



κάθε φορά που επιστρέφω
σε τυλίγω σε ένα ξεχείλισμα σιωπής

κοιτάζω τον άνεμο να σε διαπερνά σαν ποτάμι
πεσμένο ανάμεσα στα σχέδια των ουρλιαχτών μέσα στο δέρμα

έτσι κρατιόμαστε στο κενό
όπου οι τοίχοι όταν καταρρέουν
δεν κάνουν κανέναν θόρυβο

και στο άδειο κέλυφος του εντόμου
στη βυθισμένη πόλη
κατοικούμε

Fotografia di Pierre Fredd, particolare

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XII bivacco

ritrovarti, per poco, è anche questo un rifugio
una luce senza suono che scivola sul giorno

io e te sediamo sull’erba
guardiamo
la sera, e come scolora
il tuo nome nel suo

ci sono cose che non sappiamo morire
e ci piace quest’addio, incondizionato
ma da cui non vogliamo tornare

*

ιβ’ μπιβουάκ

το να σε ξαναβρώ, για λίγο, είναι κι αυτό ένα καταφύγιο
φως, χωρίς ήχο που γλιστράει στην ημέρα

εγώ κι εσύ καθισμένοι στο γρασίδι
κοιτάζουμε τη βραδιά
και πώς ξεθωριάζει
το όνομά σου στο δικό της

υπάρχουν πράγματα που δεν ξέρουμε να τα πεθάνουμε
και μας αρέσει αυτό το αντίο, άνευ όρων
και δεν θέλουμε να επιστρέψουμε από
αυτό

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XIV allenarsi a dimenticare

mi aspetti in cima alla salita
dove finisce il bosco
e la luce inizia
a scolorirti

mi mostri una coda di lucertola
che si muove ancora
e dici tanto poi gli ricresce
come noi
insistiamo a vivere
quello che perdiamo

e subito cadi fra le cose
che accettano di arrendersi

perché solo quello che si spegne
risplende

*

ιδ’ ασκούμενος στη λησμονιά

με περιμένεις στην κορυφή της ανηφόρας
εκεί όπου τελειώνει το δάσος
και το φως αρχίζει
να σε ξεθωριάζει

μου δείχνεις την ουρά μιας σαύρας
που κινείται ακόμα
και λες μπορεί να ξαναμεγαλώσει
όπως κι εμείς
επιμένουμε να βιώνουμε
ό,τι χάνουμε

και αμέσως εγκαταλείπεσαι
στα πράγματα που δέχονται να παραδοθούν

γιατί μόνο ό,τι σβήνει
λάμπει

Fotografia di Pierre Fredd, particolare

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XVI giocare a nascondino fra gli alberi

così forte non hai urlato che l’uccello s’è fermato
e s’è fatto gabbia, così in silenzio
pietra su pietra hai costruito
il tuo viso in fondo al mio
specchio che ti insiste

di te c’è sempre un’alba nei paraggi
ramo dopo ramo
anche
nel durame della notte

fino alla
radice

*

ισ’ παίζοντας κρυφτό ανάμεσα στα δέντρα

τόσο δυνατά δεν ούρλιαξες που το πουλί σταμάτησε
και μετατράπηκε σε κλουβί, έτσι στη σιωπή
πέτρα στην πέτρα έχτισες
το πρόσωπό σου στο βάθος του δικού μου
καθρέφτη που σε επιμένει

από σένα μένει πάντα μια ανατολή εδώ γύρω
κλαδί στο κλαδί
ακόμη και
στον κορμό της νύχτας

μέχρι τη
ρίζα

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XVII allenarsi a ricordare

tu ora sai che di te è rimasto un soffio
sai che il soffio che di te è rimasto
è come provare a raccogliere una nuvola

di questo soffio che di te è rimasto
io respiro, e ascolto il tuo respiro come il battito d’un cuore
che mi chiude nel sonno

tu sai ora che l’uomo che è tornato
per donarti
all’amore degli insetti e delle vipere
cerca ancora il tuo respiro,

quando l’albero s’inceppa
e gli uccelli stanno, senza suono
e nel corpo del tuo tempo

cado

*

ιζ’ ασκούμενος στη θύμηση

τώρα ξέρεις ότι από εσένα έχει μείνει μια ανάσα
ξέρεις ότι η ανάσα που απέμεινε από σένα
είναι σαν να προσπαθώ να μαζέψω ένα σύννεφο

από αυτήν την ανάσα σου που απέμεινε
αναπνέω και ακούω την αναπνοή σου σαν τον χτύπο μιας καρδιάς

που με τυλίγει στον ύπνο

τώρα ξέρεις ότι ο άνθρωπος που επέστρεψε
για να σε χαρίσει
στην αγάπη των φιδιών και των εντόμων
ακόμα αναζητά την ανάσα σου

όταν το δέντρο στομώνει
και στέκεται το πουλί, δίχως ήχο
και στη σάρκα τού χρόνου σου

κατρακυλώ

Fotografia di Pierre Fredd, particolare


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XIX il palloncino rosso

è ancora possibile una forma di gioia per questo corpo
che fa gesti con le mani, ride, parla
passa la notte davanti agli uomini rotti
là dove tutti i vuoti coincidono

come un bambino che corre
dietro a un palloncino rosso, e lo tiene con i denti

e pensa che durerà, e lo lascia libero

*

ιθ’ το κόκκινο μπαλόνι

είναι ακόμα εφικτή μια μορφή χαράς γι’ αυτό το σώμα
που χειρονομεί, γελάει, μιλάει
περνάει τη νύχτα μπροστά σε σπασμένους ανθρώπους
όπου όλα τα κενά συμπίπτουν

σαν παιδί που τρέχει
πίσω από ένα κόκκινο μπαλόνι, και το κρατάει με νύχια και με δόντια
και νομίζει ότι θα διαρκέσει, και το αφήνει ελεύθερο

*

Massimiliano Damaggio (Desio, Milano 1969) vive ad Atene. Ha studiato lingua e letteratura portoghese e ispanoamericana presso l’Università di Milano. Ha tradotto numerosi poeti contemporanei dal greco moderno e dal brasiliano. Molti suoi lavori sono stati pubblicati su riviste e blog italiani e stranieri, come «La dimora del tempo sospeso», «Versante ripido», «Perìgeion», «Iris news», «Poiein.gr». Ha pubblicato Neon (Lalli 1996), Poesia come pietra (Ensemble 2011), Edifici pericolanti (Dot.com Press 2017), Ceux qui prennet un café face à la mer (Alidades 2017, trad. Olivier Favier). È tra i fondatori del blog « Perìgeion » (https://perigeion.wordpress.com/). Tra le moltissime traduzioni, recente quella di Paulo Leminski, Distratti vinceremo (L’Arcolaio 2021, collana L’altra lingua, diretta da Lorenzo Mari). La presente silloge Io scrivo nella tua lingua è uscita per Editrice Zona a giugno 2022.