peQuod 2024

Collana portosepolto, diretta da Luca Pizzolitto e Massimiliano Bardotti
Volume a cura di Luca Pizzolitto



Poeta di straordinaria musicalità ed esattezza sensoriale, anche in questo suo ultimo lavoro poetico (Erbe d’esilio, peQuod 2024, collana portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto), che prosegue idealmente – secondo la stessa nota dell’autore – l’opera Abitare il transito (Arcipelago itaca 2021), Giacobbi ha l’impronta del fuoriclasse.
Corpo che si muove con brio, acceso nel mondo, erotico e scanzonato nella percezione, esistenzialmente conscio e franco di visione interiore, il poeta innalza la sua ricchezza di vivente, anche come presenza temporale, a un bianco immediato, nel gesto subitaneo del ritmo, del timbro cromatico, nell’impennata lirica gravida di sorpresa.
Sprezzatura dell’inatteso, un balzo evangelico tutto arioso e giovanissimo, che dirompe dal fluire mondano con profonda eleganza esistenziale. Una nitida raffinatezza, danzante in armonia: così credibile, nella melodia del suo dettato, che il vivente abbia baricentro nell’ala, e che la poesia possa darsi ancora in bellezza e buona notizia.

Fotografia di Rui Palha


*


Da: Erbe d’esilio, peQuod 2024



XVI – Sarebbe stato incanto


Miei segni particolari:
 incanto e disperazione.

 Wisława Szymborska, Il cielo, in
Vista con granello di sabbia.


*

il cielo fa, delle vesti di Maria
velami rosa celesti

                   sostare al tabernacolo del giorno

lasciare nel tacere maturi
l’avvertimento del prodigio, avvedersene

sentirsene abitati

                  ciglia sulle ciglia
                             i palmi al petto combaciare





Che dire della transumanza delle nuvole
spumose di sole nell’azzurro; del loro pascolo lieto
degli shanghai di luce filtranti tra le chiome


quasi liberati dal pugno appena schiuso di Dio?
Delle alture, che sotto la stellata in fremito della valle
avrebbero assunto nel blu notte la sagoma





di bisonti accovacciati? E che dire
degli specchietti accecanti a miriadi tremati
dalle azzurrità chiacchierine del mare


del loro brillio di quasi fogliame rivolto
nelle dorate rilucenze argentine? Dei fazzoletti
di vento che acrobati delle trasparenze





più e più volte diedero avvio al sangue, al respiro
fecero gli occhi più belli? Dire: sarebbe stato incanto
per quel tutto declinarsi in atto d’offrire.


Che la rosa del sangue sarebbe dovuta erompere
dal petto, e nell’aereo al cielo innervarsi
di vene e arterie, farsi povero obolo




a così vasta meraviglia.
Dire: saresti dovuto allibire di gioia, che ti saresti
potuto salvare; già, ti saresti potuto salvare

se almeno un giorno, in un’ora d’ombra sul capo
te ne fossi accorto.


*

XXI – Nostalgia della luce

Questa penombra è lenta e non fa male; (…)
 Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
 ma è una dolcezza, un ritorno.

 Jorge Luis Borges, Elogio dell’ombra.

 Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera.
 Johann Wolfgang Goethe, in Götz von Berlichingen.

 Un cielo come un giardino, con luci folli, selvatiche.
 Christian Bobin, IV, in Lettere d’oro.


*

sarà ritorno

                                        al primo fiat
                                        alla prima parola pronunciata

– se non in Te, a chi? a che l’oscuro iato? –

omega riavuto nel suo alfa
e più nel luminoso Alfa d’ogni alfa risalito

                                       ai riaperti cancelli del giardino




Nulla più dell’ombra può farmi persuaso
io esista; la sua oscurità – il suo adagiarsi oblung
a replicarmi i passi – altro non dice

che sono ancòra sangue, respiro. Il mio corpo
non potrebbe proiettarla se non cinto
dall’abbraccio della luce




che se accadesse di non vederla più
vorrebbe dire che davvero, davvero sarei morto.
Cosa dovrebbe mai essere

la mia, la tua ombra, se non nostalgia della luce?
Ed io, ne ho così febbre
che l’ombra che emano dal volto




– o la spiovenza di bemolle che mi cala sugli occhi
certe sere di persiane chiuse –
è nient’altro che brama di luce, implorazione


del suo avvento, fede nella sua epifania.
Mi dici grigio, ammantato dallo scialle buio
della malinconia; e scuoti il capo, beffeggi



il mio mormorare all’aria di più, di più. Ma non sai.
Tu non sai delle cascate di luce che immagino
nei cieli, della gloria di polle luminose


nei giardini che mi attendono; né sai
di quando io stesso diverrò sfolgorio, luce
nella luce, superfetazione di luce.

*

XXIII – Ma di’ soltanto una parola

(…) il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno
prima ancora che gliele chiediate.
 Mt 6, 8

 Ascolta, Signore, la mia voce.
 Io grido: (…).
 Salmo 27, 7

Vere tu es Deus absconditus (…)
Vulgata, Is, 45, 15


*

a quale più affilato sguardo
a che imo o apice dell’avvertimento

a quale grado d’ossessa vigilanza
o più infitta allerta d’udito – mi chiedo –

                                la voce, la carne?

 noi s’è qui, si attende




Altro non possiamo; fessurare gli occhi
a scorgerti seppure per accenni, mai compiuto
solo per rimandi; per voce d’allodola


muso di volpe, aria di mughetto; e vento e rovo
e capro e stella e tutto; tutto il possibile
e l’impossibile del tuo avveramento.




Orme che a volte di te non intendo
quando la voce pigra nel suo lagno e non si leva
o stalla e poi, ripiega giù; esistere

dovrebbe essere più del mio vanire d’occhi
nella luce agra, più di questo sempre masticare
le erbe dell’esilio; perdonami




è da cospargersi di cenere il capo; è misura
del non credere il sospetto non ti giunga il pianto
o il paventare tu non sappia


già prima del mio chiedere.
Stare così, malati di senso, e per pudore tacerlo.
Ma cova in noi sepolto un urlo: devi esistere devi




devi esistere; o il dolore sarebbe dolore
e la vita tutta e il mondo e gli occhi di mia figlia
e questa smania d’immenso null’altro


 che il caso capriccioso dell’assurdo.
 Non sono degno, vedi, non sono degno.
 Ma di’ soltanto una parola, muovi un fiato, qualcosa


 soffia un sibilo, un sussurro.

*

Erbe d’esilio prosegue idealmente il percorso ideativo e poetico di Abitare il transito (Arcipelago itaca 2021), qui: https://www.asterorosso.com/2024/06/10/abitare-il-transito-di-carlo-giacobbi/

Carlo Giacobbi è nato a Rieti nel 1974. Nella città natale risiede e lavora. Ha manifestato, sin dalla giovinezza, interesse per la poesia, la letteratura, il teatro, la musica e il canto. Ha vinto numerosi
concorsi nazionali ed internazionali. È stato finalista al Premio “Lorenzo Montano” nel 2021 e 2023. È nelle redazioni di Arcipelago itaca e Versante Ripido. Collabora con Macabor editore. Intensa è la sua attività di critico letterario che si affianca a quella di organizzatore di laboratori di scrittura poetica, nonché di reading e conferenze sulla poesia. Ha pubblicato, da ultimo, Abitare il transito (Arcipelago Itaca), Vicende e chiarimenti (Puntoacapo), Anche quando è malora (Arcipelago Itaca).