Arcipelago itaca Edizioni, collana Mari Interni a cura di Danilo Mandolini


con contributi critici di Rosaria Lo Russo e Luigi Carotenuto

con due opere di Loredana Catania

Vedere accomiatarsi chi si è portato nel mondo dal proprio grembo è l’assoluto indicibile, che rende negazione una originaria affermazione di vita, ponendo a rischio identità, senso, umana persistenza di chi rimane. Di fronte a quest’ordalia Francesca Del Moro (Ex madre, Arcipelago itaca 2022) si tiene in piedi, e fa passare lo sterminato suo sentire attraverso il flauto della poesia: dando canto, dando aria alle stanze del cuore.
Essere posti, senza volerlo, a guardiani di un adito tanto scosceso, custodi dell’assenza più amara, intontiti da un silenzio ostinato e battente, contorna a ipotesi ciò che fino a ieri era realtà e presenza, e fa continua proiezione a ologramma di istanti ora assorti, perduti. Figure estinte che tuttavia si ribadiscono in trionfo di luce, come accade per  il firmamento. Una stella spenta che vibra di commozione, e accanto indugia: così attuale il profilo, il volto, da essere immagine che pervade intimamente i giorni.
Ma duramente, nell’incavo di ciò che si è congedato, non c’è lettura di alcuna nota esplicativa: una cifra muta assedia chi resta, in modo arcano e mutevole. Solo una quiete remota, successiva, per noi impercorsa e indecifrabile, si fa cesta di reciproca compassione oltre le grate del reale, onirico atemporale ritorno: desiderio ancipite di toccarsi, i cui circuiti tra qui e l’altrove sono talora armati di rabbia, talora disciolti nella più barbara tenerezza, talora isolati da una membrana di accaduto che non concede il contatto.
La tentazione, al cospetto di un’opera come questa, era tacere: lasciarla nel morbido abbraccio – sapiente, analitico di Rosaria Lo Russo che apre in prefazione, e dolcemente metafisico, simbolico di Luigi Carotenuto che chiude il volume – perché bisogna avvicinarsi piano, con rispetto, a chi ha conosciuto certe cose. Chiedersi se non sia qui che il dire va rinunciato nella compostezza, facendo passaggio a preghiera silenziosa. Eppure è bene rilevare che la parola – eternamente inevasa – del dolore puro qui volteggia e somiglia in assolutezza al suo oggetto; e fa benda, phármakon, acre medicamento, con quel nitore a soprammercato che solo la verità dona: nella sua levità assolta, superstite, licenziata dal male a fertile armonia. Inevitabilmente, il verso è un cristallo: perché tutto nell’incanto accade ignorando conati e istanze, laddove non importa più.
Di questa poesia profondamente vera conserviamo la cruda lealtà della scrittura, e il messaggio principe, il tremendo: la lama fredda della bellezza ferisce di splendore, e costringe a rialzarsi, in ogni caso, come una primavera crudele di brezze e fioriture. Senza pietà la grazia s’innalza nel dolore, e struggente è il posare ciò che ha vocazione all’eterno – l’amore – su labili figure in transito.
L’opera di Francesca ha già pagato ogni suo abbagliante candore con la vertigine del precipizio: tentando l’equilibrio sulla fune del sentire dona un eroismo in parola che pronuncia il sublime e redime gli astanti, ricordandoci che l’innocenza del singolo è sempre per tutti, e sempre sulla soglia di una dismisura.

*

Da Francesca Del Moro, Ex madre, Arcipelago itaca Edizioni 2022


Ho stretto l’urna contro il ventre,
pesava pressappoco come allora.
Un figlio lo contieni sempre
e ogni minuto io contengo,
ogni minuto sento dentro
mio figlio che muore,
mio figlio che decide di morire.

Brooke Shaden, ragdoll

*

Le nostre grida,
il fiato spezzato,
il rumore del pianto.

Tutte le parole
che accalchiamo.

E su di noi la sua pace,
il suo silenzio di marmo.

*

Lui sale ora
come le mura altissime
di una chiesa spoglia,
così solida, ferma e muta.

Come un insetto spaccato,
io mi contorco a terra,
nella sua luce dura.

Brooke Shaden, house of solitude

*

Con una lacrima sul naso,
camminando, soppeso
le ragioni per morire.

Poi entro, premo un tasto,
mi accendo
come qualsiasi congegno,
combacio con la sedia,
mi inserisco come un cavo,
faccio clic e sto meglio,
funziono fino a sera.

*

Lo stesso sorriso
con cui mi accoglievi
è qui fermo. Da mesi
ne avevo paura.
È un prendersi cura,
ancora, lei dice
guardandomi
salire sulla scala,
passare e ripassare
il panno lentamente,
posare un fiore nuovo,
far brillare l’oro
del tuo nome.

Brooke Shaden, skiward

*

Sono solo stanco, mamma,
aveva risposto come sempre
tornando quella sera a casa.
Sono mesi ormai che anch’io ripeto
sono tanto stanca, tanto stanca
come per chiedere il permesso
di morire a chi mi ama.

*

Non mi negava mai un sorriso
quando entravo senza un motivo,
salvo la gioia di vederlo qui.
Poi scherzando richiudeva la porta,
la porta spessa quanto l’infinito.

*

Nel grigiore del giorno
ogni immagine sfuma,
splende solo il ricordo.
L’angelo siede nel mio corpo
e mi consuma.

Brooke Shaden, wings will always try to fly

*

Lui mi parla
alle soglie della notte,
ha la voce calma e dolce,
una pura energia,
mi tiene in sintonia
con l’anima unica
sconosciuta, possiede
la naturale armonia
del canto delle cicale,
il messaggio della falena
che a un tratto si è posata
sul guanciale.

*

Da San Luca
Arrivati in cima,
staccarsi il male
dal petto.
Sentirsi sparire
nel vuoto che si apre.
Guardare il pezzo
di sé, così grande,
che cade.

Brooke Shaden, limitless

*

Numero di figli: zero.
L’innocente ferocia
di un banale questionario.
L’amore mio immenso.
Zero.

Brooke Shaden, the falling of autumn darkness

*

Ha brillato qui per vent’anni,
poi si è incamminato altrove.
Da allora io sono ferma
voltata verso la sua orma di luce
come un girasole.

Brooke Shaden, brighter days



*

Francesca Del Moro (Livorno 1971) vive a Bologna. Ha pubblicato i libri di poesia Fuori Tempo (Giraldi 2005), Non a sua immagine (Giraldi 2007), Quella che resta (Giraldi 2008), Gabbiani Ipotetici (Cicorivolta 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta 2014), Gli obbedienti (Cicorivolta 2016), Una piccolissima morte (edizionifolli 2017, ripubblicato nel 2018 come e-book nella collana Versante Ripido/LaRecherche) e La statura della palma. Canti di martiri antiche (Cofine 2019). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Charles Baudelaire (Le Cáriti 2010). Nel novembre del 2020 è uscita la sua traduzione dei Derniers Vers di Jules Laforgue, nella collana La costante di Fidia curata da Sonia Caporossi per Marco Saya. Scrive testi critici e organizza eventi afferenti a diverse discipline artistiche; fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere.